«Stallone era veloce, ma lo ero anch'io»

LOCARNO - «Quando tornavo a Philadelphia, all'aeroporto i tizi della dogana mi chiedevano, qual è il suo lavoro? Mia moglie non voleva che dicessi inventore perché la gente spesso pensa allo scienziato pazzo di Ritorno al futuro, sapete? Voleva che dicessi cameraman. Ma io pensavo no, sono un inventore. E mi piace questo lavoro». E inventore Garrett Brown lo è senza dubbio. A lui si deve la steadicam, la rivoluzionaria imbragatura, con stabilizzatore che permette riprese in movimento di fluidità impossibile prima. Dagli anni Settanta ad oggi la steadicam – che pure non è l'unica invenzione di Brown, che ha firmato ad esempio anche la Skycam per le riprese sportive – è stata impiegata in un numero infinito di film, cambiando il modo di fare cinema. A riprendere Danny a zonzo sul triciclo per i corridoi di Shining o a seguire gli allenamenti di Rocky Balboa c'era lui, così come in un numero impressionante di pietre miliari del grande schermo. Garrett, un pezzo d'uomo di 72 anni, dalla voce pacata e gentile e dal racconto facile, è stato premiato giovedì a Locarno con il Vision Award – Nescens per le innovazioni tecniche e ieri ha tenuto una masterclass al Palavideo.
A cosa si deve l'invenzione della steadicam negli anni Settanta?
«Sentivo che mancava qualcosa. Avevo un dolly, un dolly stupidamente grosso. Ero molto lontano da Hollywood e non avevo molti soldi e quando non hai molti soldi compri un vecchio, sporco, grosso dolly. Pesava quattrocento chili e la mia camera ne pesava quattro. Una cosa ridicola. Cominciai a pensare che ci doveva essere un altro modo di manovrarla. Fortunatamente, feci una ripresa in elicottero, con la camera tenuta alla fine di un'asta. E improvvisamente realizzai che se metti la camera alla fine di un lungo bastone è molto stabile su due assi. Costruimmo un oggetto a forma di T con due pesi per stabilizzarla sui tre assi. Improvvisamente ero l'unico tizio al mondo che poteva correre in giro riprendendo in maniera stabile. Facevamo firmare a tutti degli accordi di segretezza e poi portavamo la macchina segreta e giravamo quelli che alle volte erano degli stupidi spot».
Come è arrivato al cinema?
«Negli anni '60 ero un folksinger. Ho mollato in fretta il college per diventare un cantante. Quando arrivarono i Beatles mi dissi, ecco, è finita. Poi scrissi una storia di fantscienza, perché pensavo che mi sarebbe piaciuto essere uno scrittore. La spedii in giro ma non successe niente. Così sono finito a vendere Volkswagen. Ero molto infelice. Circa un anno dopo, mia moglie mi chiamò e mi disse, guarda è arrivata una busta da un'altra rivista alla quale avevo spedito la storia. Avevano accettato il racconto. Mi licenziai, tornai a casa, stappammo lo champagne. E poi ci rendemmo conto che ci avevano offerto 30 dollari e nel frattempo mi ero già licenziato! Mi serviva un lavoro. Siccome mi erano sempre piaciuti i film, mi ero letto tutti i libri sul cinema alla biblioteca di Philadelphia. Ho insegnato a me stesso come essere un filmmaker degli anni Quaranta, perché tutti quei libri erano fuori moda. E questo è ciò che mi ha portato ad avere un dolly e un equipaggiamento antico».
In quale film fu usata per la prima volta la steadicam?
«Fu Bound for Glory, un film veramente bello. Utilizzai un prototipo ma esattamente come quella vera a parte che era un po' più artigianale. Fu girato nel 1975 e uscì nel 1976. Ci furono tre film che avemmo la fortuna di girare contemporaneamente, Bound for Glory, Rocky e Il maratoneta. Fu un grande inizio. Ero molto veloce e atletico. Quando sei giovane e cerchi di impressionare la gente fai anche delle cose da pazzi. In un caso (nell'Esorcista 2 di John Boorman, n.d.r.) sto seguendo un attore che corre sul set. Nella scena quella persona che stavo seguendo doveva cadere e io dovevo volarle al di sopra. Corro, salgo su una sorta di gradino sulla sinistra, salto su quello a destra, cambio mano e corro giù dal gradino. E sullo schermo questa sequenza è pazzesca, sembra come se un aereo si muovesse lungo quel percorso e sorvolasse la persona in maniera impossibile. Facemmo cose davvero pazzesche».
La steadicam è stata usata anche per Rocky di John Avildsen, come nella famosa corsa sulla scalinata del museo di Philadelphia. Non doveva essere proprio facile correre dietro a Stallone...
«Il prototipo era molto leggero. Stallone è molto veloce, ma lo ero anche io con quella roba addosso. La ragione per cui ho girato in Rocky è perché quando facemmo i film dimostrativi per mostrare la nostra invenzione, a Philadelphia, abbiamo girato una trentina di riprese impossibili, riprese che non avrebbero potuto mai essere realizzate prima. Così potevamo stupire qualcuno nell'industria cinematografica. Non sapevano come avessimo potuto realizzarle. L'ultima ripresa della demo era inseguire Ellen (sua moglie, n.d.r.) su e giù per quei gradini. È corsa giù e poi è tornata su e io dietro. Il regista di Rocky vide questa ripresa. Nel film Stallone corre solo in su. Ellen invece su e giù. Così era ok, era facile. La cosa divertente è che ora quella scalinata, la scalinata del museo, ora è una grossa attrazione turistica di Philadelphia grazie a questi film. In Rocky 2 Stallone corre ancora su quelle stesse scale seguito da centinania di bambini e uno era mio figlio!».
In Shining Kubrick le ha lasciato qualche libertà?
«Nessun grado di libertà, per niente, assolutamente nessuna libertà. Ma è stato buono per me, una grande disciplina. La steadicam non è solo uno stabilizzatore, è come uno strumento musicale, un modo di muovere l'obiettivo con tale grazia, in tali curve che sono impossibili con un dolly, come l'archetto di un violino. In Shining non c'era però una vera e propria opportunità di riprendere in questo modo. Quello che voleva Stanley era quasi meccanico, erano delle linee semplici. Quelle riprese sembra non abbiano un vero punto di vista, non si percepisce la natura della creatura che guarda. Forse è il punto di vista dell'hotel. Una cosa bizzarra da pensare. L'occhio dell'hotel che entra nel mezzo della sala. È un interessante e spaventoso pensiero. Ed è quello che quelle riprese fanno sentire. Non è solo il punto di vista di chi fa il film, è come se l'edificio guardasse dentro se stesso. Una delle ragioni per cui Kubrick girava così tante volte ogni scena era che al montaggio voleva avere ogni possibilità. All'epoca esistevano le betamax, videocassette di alta qualità. Stanley aveva un banco con 30, 35 betamax. Le riprese erano immagazzinate lì e così poteva scegliere. Penso avesse delle versioni di ogni scena che andavano dall'apatia all'isteria, con gli attori che diventavano più e più eccitati, rumorosi o arrabbiati. E per ottenere queste performance certe volte penso sia stato un po' crudele verso Shelley (Duvall, n.d.r.). Ma, l'uomo era fatto così e per me era grande. Avere la possibilità di girare così tanto faceva diventare la cosa un po' come una danza. Essere in grado di fare quella danza che so, trenta volte, era spettacolare: sei molto buono alla quinta, sei quasi perfetto alla quattordicesima poi ci sono pochi cambiamenti».
I registi come hanno accolto la sua invenzione?
«I registi che erano entusiasti e audaci erano entusiasti e audaci riguardo a cosa farne. Quelli che invece lottavano per stare a galla avevano paura. È un business molto conservatore. Quando ho inventato la steadicam ho pensato, lavorerò con questa ogni giorno. Ma non ce n'erano in giro abbastanza perché i pezzi grossi dicessero la voglio avere. La migliore cosa era che ci fossero un sacco di steadicam in giro e che tutte mostrassero ai registi cosa fare. Io dicevo che se c'è un solo violinista nel mondo, lavorerà al circo, ma se invece di violinisti ce ne sono centinaia di migliaia e sono bravi è allora che ottieni le grosse limousine nere e i grossi assegni».