Storie di 007 sui laghi prealpini, e il Ticino finisce sotto osservazione

Indossano tutti una camicia bianca. E hanno il volto coperto dai passamontagna. Sono gli invisibili, gli uomini e le donne del Mossad, il servizio segreto di Israele. Immobili, ascoltano - tra le lapidi del cimitero militare di Ashkelon - il loro capo. L’ex colonnello dell’Heyl Ha’Avir David Barnea, da due anni alla guida dell’Istituto, come viene chiamato da quelle parti il più temuto e impenetrabile servizio di intelligence del mondo. È già estate, ad Ashkelon. L’antico porto a ridosso della striscia di Gaza, alle cui spalle si estende il deserto del Negev, è famoso per aver dato il nome allo scalogno, portato in Europa dai crociati che da quelle acque salpavano per fare ritorno a casa. Oggi è conosciuto per essere il capolinea settentrionale dell’oleodotto Trans-Israele e, soprattutto, la sede dell’impianto di desalinizzazione dell’acqua di mare più grande al mondo.
Qui, in questa città di poco più di 100 mila abitanti viveva, forse, Erez Shimoni, l’agente «in pensione» del Mossad morto, assieme a due colleghi dell’AISE, il 28 maggio scorso a Lisanza, sul Lago Maggiore, nel naufragio di una house-boat sulla quale erano imbarcati una ventina di 007 italiani e israeliani.
L’uomo senza identità
Chi era, veramente, Erez Shimoni, sempre che questo fosse il suo vero nome? Sicuramente non una spia tra le tante che hanno servito lo Stato ebraico. Almeno stando alle parole pronunciate dal direttore del Mossad mercoledì pomeriggio, durante i funerali militari celebrati ad Ashkelon.
«Eri un uomo di valori, un vero amico, una persona devota e leale - ha detto Barnea, secondo quanto riferito da Ynet, uno dei principali siti web israeliani di informazione - Amavi il mare e, da uomo umile e senza ego, avevi grande sicurezza in te stesso, la sicurezza che ti ha permesso di affrontare situazioni complesse nel tuo servizio. Hai lavorato in segreto per tutta la tua vita adulta. E anche dopo la tua morte non potremo parlare pubblicamente delle tue numerose, significative e benefiche azioni per il popolo di Israele».
Ma soprattutto, che cosa ci faceva in Italia, Shimoni, la settimana scorsa, assieme ad altri otto agenti del Mossad e ad almeno una dozzina di funzionari dell’Agenzia Informazioni e Servizi Esterni, il controspionaggio di Roma?
Mercoledì mattina, qualche minuto prima che la salma dell’ufficiale israeliano atterrasse all’aeroporto Ben Gurion, a Tel Aviv, era stato lo stesso primo ministro Benjamin Netanyahu a confermare, con un comunicato ufficiale, come tra le quattro persone annegate nel Lago Maggiore vi fosse anche una spia del Mossad. Niente di più. Non un nome, né un’età. «A causa del suo servizio nell’organizzazione, è impossibile parlare delle sue attività» ha scritto Netanyahu, aggiungendo che Israele aveva «perso un caro amico, un lavoratore devoto e professionale che per decenni ha dedicato la sua vita alla sicurezza dello Stato, anche dopo il suo pensionamento».
Se il capo dei servizi pronuncia l’orazione funebre e il primo ministro parla di un «caro amico» non siamo di fronte a una morte qualunque. A 50 o 53 anni di età - nemmeno questo particolare è stato finora chiarito, e le fonti a tale proposito divergono - Shimoni non poteva essere il pensionato di cui tutti i giornali hanno parlato, dando per buona la versione ufficiale.
Il quotidiano di Tel Aviv Haaretz ha scritto l’altroieri come «non sia un segreto che pensionati esperti e qualificati dell’establishment della sicurezza, incluso il Mossad, vengano periodicamente richiamati per una sorta di servizio di riserva in base a contratti speciali». L’uomo morto a Lisanza sarà stato pure un pensionato, anche se questo è tutto da verificare, ma era sicuramente ancora dentro l’Istituto. E, probabilmente, era proprio lui a guidare la pattuglia di 8 agenti che, nell’ultima settimana di maggio, era atterrata a Malpensa per una missione i cui contorni rimangono molto oscuri.
Rapporto strettissimo
L’ipotesi avanzata da più parti - in Italia dal Corriere della Sera e dalla Stampa, in Israele da The Times of Israel, in Inghilterra dalla Reuters - è che gli emissari di AISE e Mossad si fossero visti per uno dei loro periodici scambi di informazioni ad alto livello. E che la decisione di trascorrere qualche ora di svago sul Lago Maggiore, sulla barca di uno skipper «conosciuto per i suoi contatti con l’ambiente dei servizi segreti», sia poi finita in tragedia a causa di una tempesta non prevista e affrontata in modo completamente sbagliato.
«Il fatto che Israele abbia immediatamente inviato il Bombardier executive, l’aereo delle missioni più segrete del Mossad, per riportare a Tel Aviv i superstiti del naufragio, rivela l’importanza delle persone e della loro missione in Italia», ha scritto mercoledì Michele Giorgio sul Manifesto.
E d’altronde, se c’è una cosa sicura in tutta questa vicenda, è proprio «l’alleanza che l’Italia ha stretto negli ultimi 20 anni in campo militare e di intelligence con Israele, Paese associato ma non membro della NATO» che, si dice, abbia contribuito anche a scoprire le attività di spionaggio a favore dei russi di Walter Biot, il capitano di fregata della Marina militare condannato a 30 anni di carcere per aver fotografato e ceduto a uomini dell’FSB i dossier riservati del terzo reparto dello Stato maggiore della Difesa di Roma.
Né si può dimenticare il memorandum d’intesa italo-israeliano ratificato nel 2005 da Camera dei Deputati e Senato con cui è stata istituzionalizzata la cooperazione tra i ministeri della Difesa, tra le forze armate e tra i servizi di intelligence dei due Paesi.
«Case sicure» a Lugano
D’altronde, alla storiella della festa di compleanno, in stile rimpatriata, organizzata dagli amiconi con le barbe finte mai ha creduto nessuno. Anche se Palazzo Chigi, tre giorni fa, si era affrettata a informare i media che «i due dipendenti, appartenenti al dipartimento di intelligence», morti nell’incidente nautico, «stavano partecipando a una riunione conviviale organizzata per festeggiare il compleanno di uno del gruppo». In realtà, la presenza degli 007 italiani e israeliani potrebbe essere spiegata in tanti modi. Ad esempio, come ha rivelato una fonte investigativa all’AGI, una forte attenzione ai progressi dell’industria aeronautica, il cui distretto più importante è proprio nell’Alto Varesotto.
Ma nell’intreccio spionistico internazionale finito inaspettatamente in tragedia qualcuno ha voluto inserire anche la Svizzera, Paese ha scritto Guido Olimpio sul Corriere della Sera, «usato come punto di transito da molte intelligence». È noto che sin dagli anni ’90 del Novecento, prima i russi, poi persino gli iraniani avevano creato a Lugano e in altre località ticinesi «case sicure» da utilizzare come teste di ponte verso la vicina Lombardia, regione che con le sue «industrie piccole e grandi - ricorda sempre Olimpio - è sempre stata terreno di caccia per chi cerca tecnologia doppio uso, suscettibile di impiego militare e civile».
Non è quindi da escludere che la collaborazione tra servizi italiani e Mossad in terra lombarda sia stata finalizzata sia a contrastare le manovre di Teheran, desiderosa di procurarsi tecnologia, sia a monitorare da vicino i movimenti dei russi. Questi ultimi, peraltro, dopo l’attacco all’Ucraina e l’inasprimento delle sanzioni contro le proprie attività all’estero, potrebbero aver spostato alcune di queste attività dal Lago di Como al Lago Maggiore. Crocevia, a questo punto, di osservazioni interessate e prolungate da parte delle varie “agenzie”.