SuperNorman, la Lega e il cortocircuito

«Oggi diventiamo un po’ più democratici». Questa era stata la dichiarazione rilasciata dal consigliere di Stato leghista Norman Gobbi (con tessera UDC nella seconda tasca della giacca) all’inizio dell’estate del 2021 quando l’ormai tramontato movimento politico si era dato statuti e strutture, creando pure (triplo Uella!!! avrebbe scritto Il Mattino dei tempi andati) un Consiglio esecutivo. Sembrava tutto chiaro, tutto tremendamente serio e tutto destinato a scrivere una nuova gloriosa pagina leghista. E invece era solo carta straccia, finita al macero con la decisione dell’Assemblea leghista di domenica sera (rigorosamente a porte chiuse, perché non si sa mai che qualcuno percepisca i discorsi della democrazia interna) che ha decretato il fallimento di quella mossa. E, nel contempo, seppure ad interim, ha affidato tutto nelle mani di Norman Gobbi. Il consigliere di Stato si è visto acclamato coordinatore della Lega dalla cinquantina degli eletti discepoli di Via Monte Boglia presenti e, successivamente, «commosso dalla nomina inattesa» (cit. comunicato leghista) ha sentenziato: «Non mi state facendo un regalo, perché il doppio ruolo è un onere importante. Lo faccio perché voglio bene alla Lega, come a tutte e tutti voi, presenti qui stasera a 8 giorni da Natale».
Sembra la trama di un film destinato a un lieto fine, con brindisi a base di vin brûlé e panettone nostrano. Invece è nuda e cruda realtà. D’altronde la Lega 3.0, tanto prodiga nel segnalare le magagne altrui, i problemi più grandi li ha in casa propria. E con la nomina al ruolo di punto di riferimento, di perno, ma anche piccone o finanche piede di porco per scardinare la politica e rilanciare la Lega, Gobbi ha senz’altro la verve adatta. Su questo non ci piove. Ma la scelta non può andare bene al cittadino comune. SuperNorman, leghista dall’adolescenza, deve tutto alla Lega (e un poco anche all’UDC che lo stava proiettando in Consiglio federale). Capiamo la sua riconoscenza e lo spirito di servizio, condito da quel pizzico di nostalgia che ha di fatto legato mani e piedi ai leghisti, colpiti come pochi da una raffica di scomparse eccellenti che in meno di dieci anni hanno azzerato i punti di riferimento, le macchine da voti, personalità dal fiuto eccezionale e pure teste pensanti. Oggi la Lega è un partito di Governo che ha giocato per anni a fare l’opposizione, atteggiamento che trova nei tempi moderni qualche imitatore. Sta di fatto che nelle sua fila la confusione regna sovrana da tempo e la decisione di Gobbi non risolve assolutamente nulla in questo senso. Anzi, mette sul tavolo altri potenziali limiti di questa Lega, comprese molte occasioni di tensione, incomprensione e, alla fine dei conti, ulteriore confusione.
Negli ultimi mesi a fare il portavoce era stato Daniele Caverzasio, mentre prima era stata fortemente esposta mediaticamente Sabrina Aldi. A un certo punto, sembrava che un ruolo di primo piano fosse pronto per essere assegnato a Boris Bignasca che, va ricordato, è il capogruppo in Gran Consiglio. Ma desiderio e realtà non avevano trovato un punto d’incontro. E lo stesso Bignasca, dopo la sconfitta della Lega alle elezioni cantonali di aprile (-4 seggi in Parlamento che si sono sommati ai -4 del 2019), indispettito per il suo risultato nella corsa al Governo e per l’avanzata dell’UDC che voleva insidiare un seggio dei leghisti, aveva annunciato un cambiamento di strategia in favore di una Lega d’altri tempi: nuovamente barricadera, persino irriverente con il potere. Potere che, in realtà, la Lega stessa incarna come e forse più di tanti altri. Voilà, il cortocircuito è servito. Si potrebbero fare dotti discorsi accademici sull’opportunità o meno per un consigliere di Stato di assumere la guida politica del suo partito, ma non serve addentrarci oltre: non è illegale, ma è clamorosamente inopportuno. Poi saranno i casi concreti a dare la temperatura delle situazioni e a misurare la duttilità di SuperNorman, che dovrà fare capo a doti soprannaturali per superare gli scogli della palese incoerenza. Ad esempio, quando arriverà sul tavolo del Parlamento la manovra che il Governo sarà chiamato a difendere in nome delle finanze e della collegialità e i partiti (chi più, chi meno) a contenere nella portata.
Un coordinatore (parola che di fatto oggi nella Lega significa presidente) deve confrontarsi nell’arena con i propri colleghi degli altri partiti e deve sapere anche rintuzzare il Consiglio di Stato o un solo consigliere di Stato. Ma v’immaginate queste situazioni? Altro che film drammatico, piuttosto puro cabaret cantonticinese. Ci vogliono far credere che la politica sia una cosa seria, che i cittadini meritano rispetto, ma così non si fa nulla di questo. Se non fossimo preoccupati per queste derive non ci resterebbe che metterci a ridere di gusto. Invece c’è poco da stare allegri. Un consiglio (che resterà certamente inascoltato), Norman Gobbi, faccia un passo indietro immediatamente, prima dell’inevitabile cortocircuito che farebbe male a tutti: alla sua Lega, alle nostre Istituzioni e in definitiva al Paese.