«Bisogna capire dove sono i soldi russi»
Chi conosce da vicino la politica americana ci fa capire quanto la cosiddetta Commissione Helsinki sia marginale all’interno della struttura su cui poggia la Casa Bianca. Non stiamo infatti parlando di una commissione governativa, bensì di una sorta di gruppo d’interesse parlamentare. Il messaggio emerso oggi ha quindi ottenuto maggiore eco in Svizzera che non negli Stati Uniti. Ma non va comunque sottovalutato.
Che cos'è la CSCE?
La Commission on Security and Cooperation in Europe (CSCE) è un’agenzia indipendente creata dal Congresso nel 1975 con lo scopo di monitorare il rispetto degli Accordi di Helsinki, firmati da 35 Stati, tra cui la Svizzera stessa. Tali accordi, lo ricordiamo, rappresentarono, allora, un passo per stemperare le tensioni della Guerra fredda. La commissione, in questo caso, ha messo però nel mirino la Svizzera. E, giovedì, ha invitato a partecipare ai propri lavori anche Bill Browder, finanziere e attivista politico piuttosto influente, che ha lavorato per anni in Russia, prima di essere espulso dal Paese. Le pressioni di Browder portarono, nel 2012, al Magnitsky Act, una legge volta a punire i funzionari russi responsabili della morte dell’avvocato russo Sergei Magnitsky - che aveva rivelato il coinvolgimento di alti funzionari russi in una presunta frode di 230 milioni di dollari - avvenuta nel 2009 in un carcere di Mosca. Alcuni dei fondi legati al caso finirono su conti bancari svizzeri. Da lì il coinvolgimento della Svizzera e l’apertura nel 2011 del procedimento penale contro ignoti per riciclaggio di denaro da parte del Ministero pubblico; procedimento chiuso anni dopo, senza conseguenze.
«La Svizzera poteva fare di più»
Andreas Gross, politologo, già consigliere nazionale, è stato relatore speciale del Consiglio d’Europa proprio sul caso Magnitsky. Le nuove accuse di Browder non l’hanno colto di sorpresa. «Quel caso è la sua missione di vita. Sa che in realtà avrebbero voluto uccidere lui, e non Magnitsky. Ciò ha prodotto, in lui, la motivazione a ottenere giustizia. Browder, in questo senso, mostra delusione, oltre che rabbia, e sottolinea che la Svizzera poteva fare di più e meglio per trovare i soldi legati al caso. Ai tempi lo avevano sorpreso anche i rapporti tra il procuratore generale e i funzionari russi. E allora oggi diventa persino normale, per lui, esprimersi in questi toni». Toni e, soprattutto, messaggi che, secondo Gross, non vanno sottostimati. «È vero, è un gruppo parlamentare, ma i singoli senatori possono anche avere influenza sulla Casa Bianca. Inoltre, in merito al caso Magnitsky, il Governo USA è obbligato dall’Act a impegnarsi nel cercare giustizia, nel trovare quindi anche i fondi nascosti».
Il calcio sì, Magnitsky no
Gross aveva già avuto modo di dirsi lui stesso sorpreso dalla chiusura, da parte del Ministero pubblico, del procedimento. Qui ribadisce: «Nessuno ha capito la chiusura del caso. Non sappiamo neppure se il nuovo procuratore generale intenderà riesaminarlo: è il caso di sollecitarlo. Per me è stato deludente, negli scorsi anni, assistere alle polemiche montate sulle istituzioni calcistiche e non sul caso Magnitsky». Ora la guerra e le discussioni attorno alle sanzioni hanno riportato a galla anche questo caso. «Abbiamo capito che i soldi di Putin sono più di quanti non si potesse pensare. La guerra è una nuova grande motivazione a cercarli. Lo Stato svizzero non ha l’esperienza e l’abitudine a farlo, ma lo sforzo va comunque fatto. Ma prima di decidere quali sanzioni applicare, bisogna conoscere e ammettere la realtà. E la realtà coinvolge tutto il Paese, anche il Ticino, cantone ben noto agli oligarchi russi. Bisogna allora capire, innanzitutto, dove sono i soldi russi, in quale città, in quale terreno, in quale banca».