L'intervista

«Dobbiamo superare i confini per risolvere i nostri problemi»

A colloquio con Beat Jans, candidato del PS alla successione di Alain Berset – «La Svizzera non ha mai avuto brutte esperienze con consiglieri federali basilesi»
© KEYSTONE / ALESSANDRO DELLA VALLE
Luca Faranda
08.12.2023 15:17

Consigliere nazionale dal 2010 al 2020, Beat Jans è ormai da tre anni presidente del Governo di Basilea Città. Il socialista 59.enne si augura che la sua regione torni a essere rappresentata in Consiglio federale dopo cinquant’anni. Lo abbiamo intervistato.

Signor Jans, questa è forse la sua ultima occasione per accedere al Consiglio federale. Sente di essere l’uomo giusto al posto giusto? E in quale dipartimento potrebbe dare il contributo maggiore?
«Credo, con le mie competenze, di potermi bene integrare all’interno del Consiglio federale. Provengo da un centro urbano, dove sono presidente del Governo, ho una certa esperienza di vita e di direzione. I nuovi consiglieri federali ereditano il dipartimento che gli altri sei ti cedono. Non si può scegliere. A livello personale, ho molta affinità con i temi del DATEC: me ne sono occupato molto anche durante il mio periodo in Consiglio nazionale. Ma credo che il dipartimento resti nelle mani di Albert Rösti ancora per qualche anno (ride, ndr)».

Rispetto a Jon Pult, quali sono le differenze principali che potrebbero fare la differenza il prossimo 13 dicembre?
«Credo che politicamente siamo simili. Ci piazziamo più o meno al centro del PS e abbiamo la fiducia da parte dei vertici del partito. Le differenze le conosciamo: Pult conosce meglio il Parlamento ed è più coinvolto nei temi di cui si occupa oggi il legislativo. Il mio vantaggio è quello di avere più esperienza: come si elabora una legge, ma anche come si attua in un cantone. E spesso è una grande sfida. Ritengo un vantaggio anche il fatto di sapere come si lavori e come si vada alla ricerca di soluzioni in un Esecutivo con sette persone (Basilea, rispetto al Ticino, conta due membri in più nel Governo cantonale, ndr). In questi tre anni ho imparato molto su come potrei aiutare il Consiglio federale e su cosa posso apportare».

Quanto è cambiata la sua percezione del Consiglio federale da quando è in un esecutivo cantonale?
«È soprattutto in questi anni che ho imparato a conoscere il federalismo. E oggi gli attribuisco maggiore importanza di quanto non facessi quando ero ancora in Consiglio nazionale. Ho imparato a guidare un dipartimento, anche se Basilea-Città è un po’ speciale: siamo a capo sia di una città, sia di un cantone. Il dipartimento presidenziale ora funziona meglio di quando sono arrivato. Era in crisi e c’è stata addirittura una votazione popolare per abolirlo (respinta nel settembre 2022, ndr)».

Durante il suo periodo in Parlamento è stato critico nei confronti dell’associazione degli agricoltori. Quanto può incidere sulla sua candidatura?
«È possibile. In Consiglio nazionale ho svolto il ruolo del deputato che sostiene un’altra politica agricola rispetto alla Conferenza dei parlamentari contadini. Nel frattempo, ho comunque avuto varie discussioni e le persone hanno capito che, se fossi eletto in Consiglio federale, assumerei un altro ruolo. Ovvero una persona che è presente per tutti, anche per i contadini di questo Paese. Già nel mio Cantone cerco di essere in contatto con tutte le associazioni. Anche se, devono ammettere, non ci sono molti agricoltori a Basilea Città (ride, ndr)».

Dopo le audizioni non ho avuto molti riscontri, quindi non saprei proprio dove e come posizionarmi

Dalle audizioni di questa settimana sembra che lei sia in leggero vantaggio. Questo aggiunge pressione?
«Trovo che dal mio punto di vista non sia per niente utile. Sono i media a sostenerlo. Dopo le audizioni non ho avuto molti riscontri, quindi non saprei proprio dove e come posizionarmi. Non mi interessano queste cose, preferisco concentrarmi nello spiegare alle persone chi sono».

Basilea non è rappresentata in Consiglio federale da 50 anni e la mancata elezione di Eva Herzog – lo scorso dicembre - ha fatto aumentare ancora di più le aspettative. Come la vive?
«Sento nell’intera regione una grande speranza che Basilea torni a essere rappresentata in Consiglio federale. La pressione ovviamente c’è e a volte è anche un fardello, ma le persone dopo quello che è successo lo scorso anno hanno le aspettative un po’ più basse. I cittadini ti fermano per strada, ti augurano buona fortuna e senti quanto ci tengono. L’ho visto chiaramente anche mercoledì durante i festeggiamenti dei presidenti delle Camere (il consigliere nazionale Eric Nussbaumer di Basilea Campagna e proprio la “senatrice” Eva Herzog di Basilea Città, entrambi socialisti). Per Basilea sarebbe importante. Non c’è da dimenticare che l’ultimo consigliere federale basilese (il socialista Hans Peter Tschudi, a capo del Dipartimento federale dell’interno dal 1959 al 1973) ha avuto un grande successo ed è quasi considerato il padre dell’AVS. Insomma, La Svizzera non ha mai fatto brutte esperienze con “ministri” basilesi (ride, ndr)».

Basilea, pur essendo una regione di confine, ha altre sfide rispetto al Ticino. Ne è consapevole?
«Poco tempo fa c’è stata una conferenza delle regioni di confine. È stato interessante, perché non ci si rende mai conto di quante persone vivano vicino a una frontiera in Svizzera, ma sono più di un milione. I problemi che ci sono con la cooperazione transfrontaliera sono estremamente diversi. In Ticino, il problema è sicuramente diverso: l’attenzione è rivolta alla regolamentazione del mercato del lavoro. Ne ho parlato con Filippo Lombardi, che come è nell’Unione delle Città Svizzere. Bisogna evitare che ci sia dumping salariale e sono fenomeni che da noi non esistono. Da noi, al contrario, la grande sfida è che non venga limitata la libera circolazione delle persone. Condividiamo però la tematica dell’immigrazione: a Basilea il 37% della popolazione non ha il passaporto svizzero e anche sul tema dell’asilo posso portare la mia esperienza nella gestione politica del Centro federale d’asilo».

Non è un segreto che lei sia favorevole all’adesione della Svizzera all’UE. Entro quando si immagina questo passo?
«Al momento la questione non si pone. Attualmente bisogna garantire gli accordi bilaterali, in modo che le persone e l’economia sappiano in futuro come si vuole convivere con l’UE. Per noi è molto importante: sia per la ricerca, se vogliamo avere una posizione di punta, sia per l’esportazione. Rischiamo di essere sempre più svantaggiati e vari settori sono a rischio se non si trova una soluzione. Dobbiamo ricordarci che nessuno più della Svizzera ha potuto approfittare del mercato europeo comune (MEC). Inoltre Basilea, come cantone di confine, è un agglomerato che si estende su tre nazioni. Dobbiamo sempre superare i confini per risolvere i problemi. Questo è un aspetto che posso sicuramente far valere in Consiglio federale».

Nei rapporti con l'UE mi sarei aspettato che il Consiglio federale prendesse più iniziativa

Ritiene che il Consiglio federale in questi anni abbia fatto un buon lavoro sul dossier UE?
«Mi sarei aspettato che il Consiglio federale prendesse più iniziativa su questo tema. Ad esempio, facendo capire perché Bruxelles aveva quelle posizioni nei negoziati sull’accordo quadro (poi interrotto nel 2021, ndr). Allo stesso tempo, avrebbe dovuto chiarire meglio il nostro mandato negoziale con cui secondo me aveva già ottenuto molti successi. Ora c’è un nuovo tentativo (il Consiglio federale si occuperà del dossier tra una settimana, ndr) e ritengo che ci siano buone e solide basi dopo i colloqui esplorativi. Credo che il Consiglio federale, insieme ai cantoni, abbia ora il coraggio di ottenere risultati in grado di conquistare la maggioranza in Svizzera. Ma serve anche il sostegno dei partner sociali e mi auguro che si possa trovare una soluzione sui temi chiave, come la protezione dei salari. Ma sono fiducioso».

Le interessa la politica estera e i temi del DATEC. Ha invece poca esperienza con i dossier del DFI lasciato da Berset. Può essere un problema?
«Amo le sfide, ma ciò non significa che non capisco nulla di politica sanitaria. Nei miei dieci anni in parlamento ho trattato vari dossier di politica sanitaria e anche in Governo a Basilea trattiamo spesso questi argomenti. Ritengo che alcuni di questi siano tra le assolute priorità della Svizzera: frenare l’aumento dei costi sanitari e garantire la previdenza a lungo termine con un rafforzamento del primo pilastro. Sul tavolo ci sono due iniziative (la tredicesima AVS proposta dalla sinistra e l’aumento dell’età pensionabile dei Giovani PLR) che vanno in due direzioni diverse: il Governo raccomanda di respingerle. In qualità di consigliere federale, farei lo stesso con entrambe».

Qual è la sua ricetta per diminuire i premi di cassa malattia?
«Nell’ambito dei medicamenti e dei farmaci credo ci siano molte possibilità, ma anche con una migliore pianificazione degli ospedali che può ancora essere effettuata a livello regionale. C’è un ampio margine di manovra e penso che i cantoni debbano collaborare meglio. Bisogna partire dal principio che i costi continueranno a salire: la popolazione diventa più anziana, la medicina fa progressi e il settore dell’assistenza ha bisogno di più mezzi e di salari più elevati. Bisogna porsi la domanda su come si possano finanziare i costi della salute in modo socialmente sostenibile, perché per il ceto medio diventa sempre più difficile. In ogni caso tutti, ricchi o poveri, devono avere accesso alle cure mediche».

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