“Ecco perché la Svizzera sta tenendo”

Dal WEF di Davos il presidente dei banchieri Patrick Odier su economia elvetica e quadro globale
"Nell'ultimo anno l'economia svizzera, in particolare con l'export e il turismo, ha registrato alcuni problemi. Ma le imprese nel complesso hanno reagito bene"
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
25.01.2016 05:05

DAVOS - Patrick Odier, presidente dell'Associazione svizzera dei banchieri, è frequentatore abituale dell'appuntamento annuale del World economic forum di Davos. Fogli per gli appunti in una mano, borsa nell'altra, anche quest'anno Odier si è spostato da una sessione all'altra, da un incontro all'altro, seguendo da vicino questa edizione, che si è conclusa sabato. Nell'ultimo dei quattro giorni del forum, in una pausa dei lavori, ha accettato di fare il punto su alcuni temi al centro delle discussioni del WEF, sulla situazione economica internazionale, su lla Svizzera e sulle banche elvetiche.

Anzitutto, quali impressioni principali ha ricavato dalle giornate di Davos di questa edizione 2016?

«Mi è sembrata un'edizione più concreta rispetto ad altre del passato. Il titolo, dedicato alla quarta rivoluzione industriale, quindi a digitale e nuove tecnologie, si presta naturalmente ad analisi generali e complessive. Ma in questo caso mi pare che si siano trovati anche agganci concreti. C'è stato ad esempio il tentativo di capire cosa lo sviluppo tecnologico ulteriore comporterà più concretamente in futuro per l'impiego, per il mercato del lavoro. È giusto porsi questi problemi, confrontare tesi più critiche con tesi più positive. Personalmente continuo a ritenere che la creazione di posti di lavoro sarà nel complesso superiore alla distruzione di impieghi. Non ci saranno più alcuni lavori, ma ce ne saranno molti altri, ci saranno nuovi prodotti, nuovi servizi. Certo le imprese, le banche dovranno tener ancor più presente il discorso della responsabilità, sia economica che sociale. Economica, perché dovranno stare dentro l'evoluzione tecnologica ma dovranno seguire percorsi molto equilibrati nei tempi e nei modi delle loro decisioni. Sociale, perché dovranno ancor più pensare a quanti nel nuovo assetto lasceranno impieghi a quel punto superati; ci vorranno misure adatte e da questo punto di vista sarà ancora più rilevante avere un quadro di formazione continua. Siamo all'inizio di nuove analisi che dovranno poi servire appunto nella realtà concreta».

Il WEF di Davos è sempre un mix di economia e politica. Cosa è emerso per quel che riguarda le tensioni geopolitiche internazionali?

«Il mondo intero è oggi minacciato da attacchi terroristici, su questo non ci sono dubbi, è chiaro. Il tema della sicurezza è più che mai centrale. Su questo mi sembra che quest'anno al forum sia emersa anche una riflessione sullo sviluppo della collaborazione tra pubblico e privato. Accanto all'azione dei pubblici poteri per garantire la sicurezza, dovrebbe esserci sempre più anche un impegno delle imprese, dell'economia privata, per favorire la solidarietà e l'educazione umanitaria. In molti casi è davvero ampia la distanza tra la vita nei Paesi più sviluppati, nei nostri Paesi, e la vita in altre parti del mondo. I drammi che una parte dell'umanità vive sono negativi comunque, ma in questo quadro possono diventare ancora piû negativi e ancora più pericolosi. Guardiamo anche al capitolo della migrazione. È un capitolo difficile in sé, ma nel quadro attuale si collega maggiormente anche al nodo della sicurezza. Quanto sta accadendo oggi ai confini dell'Europa non è accettabile, né dal punto di vista umanitario né da quello della sicurezza. Ci vogliono più mezzi, per garantire trattamenti umanitari e al tempo stesso evitare queste situazioni caotiche. Bisogna lavorare con organizzazioni adatte, con specialisti. Ci vogliono denari sia pubblici che privati. Occorre in generale gestire meglio la questione».

Veniamo alla Svizzera. Abbandonata un anno fa la soglia di cambio minimo di 1,20 franchi per 1 euro, l'economia elvetica ha registrato un rallentamento. La Svizzera ha evitato la recessione e cresce, ma in modo contenuto, una parte dell'export in particolare risente del franco forte. Quali sono le prospettive?

«Penso che l'economia svizzera sia ormai in grado di andare avanti anche con la moneta molto forte, intendo per quel che riguarda l'euro-franco anche con un rapporto di cambio di circa 1,10. Dopo l'abbandono della soglia di cambio di 1,20 da parte della Banca nazionale, il franco si è molto apprezzato, poi ha lasciato qualche frazione. Resta comunque alto. Nell'ultimo anno l'economia svizzera, in particolare con l'export e il turismo, ha registrato alcuni problemi. Ma le imprese nel complesso hanno reagito bene. La capacità di innovare e la razionalizzazione delle attività stanno permettendo di contrastare la riduzione dei margini. E poi molte imprese elvetiche hanno una presenza parecchio diversificata, su mercati differenti, parte dei quali hanno altre monete, tra cui il dollaro che ha recuperato un po' di terreno. La diversificazione dei prodotti e dei mercati aiuta».

E le banche svizzere?

«In fondo parlare di banche svizzere significa parlare in larga misura di export. Una parte importante del settore bancario elvetico esporta servizi. Anche le banche devono continuare a innovare e a diversificare, come d'altronde stanno facendo».

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