Gianluca Ambrosetti: «Mia sorella diceva che trasformavo l'acqua in benzina»

«Si può fare». La frase, durante l’intervista, diventerà una sorta di mantra. A dirla, anzi a ripeterla, è Gianluca Ambrosetti, amministratore delegato di Synhelion, start-up elvetica che trasforma l’energia del sole in combustibili sintetici sostenibili per aviazione, trasporti e industria. Classe 1974, ticinese, Ambrosetti ha aperto le porte del suo mondo al Corriere del Ticino.
Dottor Ambrosetti, Synhelion esiste dal 2016: qual è il traguardo più grande sin qui raggiunto?
«Aver messo a terra o, meglio, realizzato un impianto industriale completo, cui abbiamo dato il nome di DAWN, per produrre combustibili sintetici utilizzando il calore del sole. Siamo letteralmente partiti da un prato e, ora, ci ritroviamo con un impianto funzionante, in condizioni di operazione nominali. Arrivare a un risultato simile, considerando le tante tecnologie promettenti in circolazione o quelle già esistenti, non era affatto scontato. Dopo nove anni di lavoro, presentazioni, notti insonni anche, poter prendere in mano una bottiglia contenente il nostro carburante è qualcosa che mi rende davvero fiero».
Da fuori, in effetti, sembra sempre scontato che un’idea trovi una sua concretizzazione…
«È vero, può sembrare perfino ovvio. C’è un professore, con cui lavoriamo spesso, che cita un esempio banale al riguardo: pur avendo tutti i pezzi a disposizione, non è semplice costruire un’automobile. Se vale per una macchina, vale a maggior ragione per Synhelion. Essere riusciti ad avviare le operazioni è un passo importante, davvero importante. Un passo che, anche all’esterno, è stato percepito come tale».
Personalmente, dunque, lei ha superato, sempre che ci sia stata, la classica fase del «chi me l’ha fatto fare»?
«Il dubbio non ti abbandona mai, c’è sempre un momento in cui ti ritrovi a parlare con te stesso, a farti domande. Ma il dubbio, secondo me, è un elemento fondamentale per capire, criticamente, se ciò che stiamo facendo ha un senso, se siamo ancora sulla giusta traiettoria, se il mondo in cui viviamo è pronto».
Ecco, il mondo là fuori è pronto per Synhelion e, allargando, il campo, per i combustibili sintetici?
«Ci sono fattori endogeni, attraverso cui possiamo giudicare se ciò che proponiamo funziona, e fattori esogeni, come l’interesse per la transizione energetica: se scomparisse, il nostro lavoro si complicherebbe. E non poco. Io dico sempre che ci troviamo, al contempo, in un labirinto e in un campo minato. Di qui le notti insonni, i citati dubbi, ogni tanto lo sconforto, ma anche l’euforia, la spinta, la voglia. Il nostro, di per sé, è un ciclo continuo: ogni traguardo raggiunto rappresenta un nuovo punto di partenza».
Come si può spiegare, brevemente e con termini semplici, la vostra tecnologia? Immaginiamo che anche potenziali investitori o partner vogliano capire, con esattezza, ciò che fate.
«In effetti, è complesso spiegare e soprattutto trasmettere quello che stiamo facendo. Anche se c’è stato un grosso miglioramento. Mia sorella, ai suoi conoscenti, ai tempi diceva che io trasformavo l’acqua in benzina. Di riflesso, io venivo percepito come uno che arrivava da Marte. Adesso, con sempre più persone consapevoli e coscienti del ruolo dei combustibili sostenibili, il concetto generale alla base di Synhelion e di altre aziende come la nostra è molto più presente nel discorso pubblico».
Nel dettaglio, appunto, come definirebbe la tecnologia di Synhelion?
«Partendo da una prospettiva più ampia, facciamo quello che fanno anche gli altri: un’inversione della combustione. L’energia liberata dalla combustione di un idrocarburo, da un lato, mantiene in aria un aereo e, dall’altro, produce come risultato emissioni di CO2 e vapore acqueo. L’idea, quindi, è catturare la CO2 e l’acqua e trasformarle in carburante, così da avere un ciclo chiuso del carbonio. La tecnologia di Synhelion utilizza energia solare per trasformare anidride carbonica – proveniente da rifiuti biogenici – e acqua in una miscela di idrogeno e monossido di carbonio, che viene poi convertita in carburanti liquidi sintetici come cherosene, benzina o diesel, compatibili con i motori esistenti».
Il vantaggio, da un punto di vista climatico, è che la CO2 usata per produrre il carburante solare viene ricatturata dall’aria o da altre fonti già esistenti, quindi non c’è un aumento della quantità totale di CO2 in circolo. A livello economico, invece, quali possibilità offre la vostra tecnologia?
«Il fatto di poter avere uno stoccaggio termico, a basso costo, e di poter dunque usufruire di una sorta di batteria che garantisce il funzionamento del processo in maniera continua. Grazie a ciò, in prospettiva potremo avere un costo del carburante davvero concorrenziale».
Detto in altri termini, la tecnologia di Synhelion è scalabile.
«Abbiamo dimostrato che la nostra tecnologia funziona e che può funzionare su scala industriale. D’altro canto, non abbiamo reinventato la ruota. Lavoriamo e abbiamo lavorato con conoscenze apprese in settori adiacenti, ad esempio, come quello petrolifero. Il punto, ora, è garantire i necessari finanziamenti per i prossimi passi. Sappiamo quanto è costato un impianto come DAWN e sappiamo quanto costa costruirne altri».
Lo scoglio, dunque, è più economico che normativo o politico?
«Lo scoglio è trovare investitori che supportino simili investimenti. Ma è un problema generale, non solo di Synhelion. Tutte le tecnologie, per arrivare a produrre a basso costo, necessitano di impianti di grande scala. Per raggiungere ciò bisogna procedere per gradi. Il segreto è non porsi obiettivi e salti troppo grandi. Molte aziende, nel nostro settore, sono cadute proprio per questo motivo, ovvero per aver cercato di bruciare le tappe. Credo che Synhelion abbia una base abbastanza solida per raggiungere la cosiddetta scalabilità».
Le compagnie aeree, pensando ai vostri clienti, sono contente perché Synhelion e altre aziende offrono una soluzione che non comporta lo sviluppo di nuovi velivoli, ma le voci critiche non mancano: c’è chi accusa il settore dei carburanti alternativi di non essere davvero sostenibile.«Bisogna fare dei distinguo. Alcune critiche sono legate a determinati biocarburanti, con il calcolo delle emissioni nette che, a causa dei fertilizzanti o delle coltivazioni intensive, finisce per essere superiore rispetto ai combustibili fossili. Tuttavia, la maggioranza dei carburanti rinnovabili, anche biologici, portano a un chiarissimo beneficio. L’aviazione, di suo, viene criticata perché si concentra sulle emissioni di CO2 e non sulle emissioni di altri gas o particolato, responsabili delle scie di condensazione. Ma è stato dimostrato che i nostri carburanti provocano molte meno scie. C’è anche chi critica il fatto che, in Europa, impianti come il nostro siano in competizione con l’elettrificazione: in realtà, Synhelion non sottrae energia ad altri utenti. Anche perché prevediamo di costruire impianti in mezzo al nulla, come nel deserto».

Siete un’azienda svizzera, avete un impianto in Germania e pianificate di espandervi in altri Paesi, in particolare in Nordafrica. Quanto influisce l’attuale contesto geopolitico e quanto complica le vostre strategie?
«La realtà? Qualsiasi Paese è complicato. Noi, sul piano normativo, dipendiamo dall’Unione Europea. Se venisse meno la spinta alle rinnovabili, se ad esempio le compagnie aeree non fossero obbligate a usare il carburante sostenibile, per noi sarebbe più difficile. Prima che Donald Trump venisse eletto, gli Stati Uniti erano un nostro obiettivo. Stavamo seriamente valutando di aprire un impianto in America. C’era un vero e proprio boom. Oggi come oggi, invece, sembra davvero improbabile che Synhelion trovi uno sbocco pure lì, almeno nel futuro prossimo. È vero, globalmente viviamo un periodo di instabilità. Di nuovo, torniamo al concetto di labirinto e campo minato. I fattori di rischio, in sostanza, sono ovunque. Detto ciò, non direi che siamo a corto di Paesi nei quali sviluppare la nostra tecnologia, anzi».
Serve anche pazienza, immaginiamo, perché in Europa ci sono pure parecchie spinte verso i combustibili fossili.
«Sì, anche se, credo, la spinta verso l’autosufficienza energetica, emersa con forza in questi ultimi anni, riuscirà a riportare al centro del dibattito la defossilizzazione. In Europa abbiamo pochissimo petrolio, abbiamo un po’ di carbone e non molto gas naturale. Per questo, ha senso, molto senso puntare sulle rinnovabili».
Mettiamo da parte Synhelion e passiamo a una domanda personale: lei, come suo padre Franco, industriale e già presidente della Camera di commercio ticinese, è un musicista jazz, nello specifico un sassofonista. Che spazio ha questa sua passione nella vita?
«Il sassofono è sempre con me. Sempre. La musica, naturalmente, è parte del DNA della nostra famiglia. Il jazz, in particolare. Io, di mio, mi ritaglio degli spazi per suonare. Proprio perché ho bisogno di staccare la spina da Synhelion, anche se poi, inevitabilmente, mentre suono finisco per pensare a tutto quello che c’è da fare. Eppure, suonare rimane un esercizio di equilibrio fondamentale. È un processo di rigenerazione. Sarò presto in Ticino, comunque, per registrare con papà».
Si dice spesso che il jazz sia improvvisazione. Un’improvvisazione che nasce proprio dal mettersi insieme ad altri musicisti e suonare. Queste dinamiche sono paragonabili alle dinamiche in seno a Synhelion? Quanto è jazz, insomma, questa start-up?
«È un’ottima domanda, in realtà, perché indipendentemente dal fatto che gli altri non siano jazzisti come lo sono io è possibile tracciare un parallelismo fra la dinamica di un gruppo jazz e quella all’interno di un’azienda molto affiatata come la nostra. Penso, soprattutto, alle fasi iniziali di Synhelion, quando facevamo un brainstorming dietro l’altro. Nei grandi gruppi jazz, come il quartetto di Coltrane o il quintetto di Miles Davis, il risultato dell’ensemble supera di gran lunga il valore dei singoli. L’interazione fra le persone, in azienda, ha un effetto moltiplicativo. Quindi sì, nel cercare di risolvere un problema o nel capire come procedere, insieme, rivedo molto del jazz in Synhelion».
Rimaniamo in famiglia: che cosa significa essere il figlio di Franco Ambrosetti?
«Se penso al jazz, dico che il livello di mio padre, come musicista, è un livello che pochi hanno avuto e hanno nella storia della musica. Me ne accorgo anche quando suono con lui, è semplicemente straordinario. Se penso al lavoro, invece, io vengo da un angolo più tecnologico: ho un dottorato in fisica, di riflesso il mio è stato un percorso differente. Poi, è vero, mio papà mi ha sempre ispirato e, devo dire, mi è sempre stato di grande aiuto e supporto. Da ragazzo, per dire, mi piaceva osservarlo lavorare nell’azienda di famiglia, la Ambrosetti. È chiaro che da quelle osservazioni ho tratto grandi insegnamenti. Detto ciò, io arrivo appunto dalla fisica, ho messo in piedi una start-up in un ambito tecnologico lontano dalle tradizioni di famiglia. E l’aspetto della ricerca scientifica, nella mia famiglia, l’ho portato io. Non parlerei in ogni caso di mio padre come di un’ombra o di una presenza ingombrante, al contrario. Tanto nel jazz quanto nel lavoro è stato ed è una grande fonte di ispirazione. E mi ritengo fortunato a essere cresciuto con lui».
Ultima domanda, che si riallaccia alla prima: ci dica tre numeri o concetti per cui, oggi, Synhelion può dire al mondo «ce l’abbiamo fatta».
«DAWN, di sicuro, perché come dicevo siamo stati capaci di mettere a terra un impianto che funziona e produce carburante solare. Lo abbiamo fatto rispettando i tempi e il budget. È la dimostrazione, concreta, di che cosa può e sa fare questa azienda. Di più, parliamo di un risultato non opinabile. Stiamo facendo vedere che, credendo nella nostra tecnologia, un domani sarà possibile produrre carburante sostenibile a costi davvero bassi. Poi citerei la crescita in termini di dipendenti. Eravamo in cinque, agli inizi, in un appartamento. Ora siamo oltre sessanta ma abbiamo mantenuto lo spirito degli albori. Avere questa freschezza, ancora, è notevole».
Mancherebbe il numero…
«Investendo le somme giuste, e non servirebbero certo le somme che vengono investite attualmente nell’intelligenza artificiale, la nostra e altre tecnologie potranno arrivare alla scalabilità di cui parlavamo prima. In un lasso temporale non esagerato, insomma, potremmo arrivare a produrre combustibili a prezzi completamente accettabili e non lontani da quelli fossili. Indicativamente, i costi di produzione sarebbero di un euro al litro. Il messaggio che lancio è: si può fare».
