Il rincaro dell’energia infiamma il legno
«Fate scorte di candele e legna da ardere». Il grido d’allarme lanciato pochi giorni fa dal presidente della Commissione federale dell’energia elettrica Werner Luginbühl conferma una tendenza già diffusa. La paura di rimanere al freddo, infatti, ha fatto esplodere la richiesta di legno. In Svizzera, rispetto allo scorso anno, nel primo semestre del 2022 l’installazione di impianti a legna è cresciuta dell’80%. Insomma, di fronte all’incertezza legata all’approvvigionamento energetico per il prossimo inverno, gli svizzeri fanno scorta di stufe e pellet. «La corsa al legno è una realtà. L’aumento della domanda lo conferma e il trend è destinato a proseguire, se non ad accelerare», dice Claudio Caccia, ingegnere e consulente energetico, responsabile per la Svizzera italiana di Energia legno Svizzera. «In Svizzera, ogni anno, vengono utilizzati 5,6 milioni di metri cubi di legna, mentre in Ticino ne vengono tagliati 100 mila metri cubi». La forte domanda, però, deve fare i conti con una disponibilità buona, ma non certo infinita. «Anche perché le leggi federali e cantonali applicano il principio della sostenibilità in maniera molto rigida. Ciò significa che non si può tagliare più legname di quanto ne può ricrescere ogni anno. Inoltre, vi sono zone protette e altre in cui si possono solo fare interventi di disboscamento mirati».
Lo «sceicco» Ticino
In generale, ricorda Caccia, il riscaldamento a legno si divide in tre categorie: legna in pezzi, pellet e cippato. «Quest’ultimo viene impiegato prevalentemente negli impianti di dimensioni più grandi, mentre nelle case monofamiliari generalmente si opta per la legna in pezzi o il pellet». E le risorse non mancano, soprattutto nel nostro cantone: «Il Ticino è lo ‘‘sceicco’’ del legno. Dal profilo energetico, inoltre, il potenziale di crescita a livello di produzione è enorme». Attorno al 50%, secondo le stime del Cantone, soprattutto nel settore del cippato. Discorso diverso per il pellet, la cui produzione, in Ticino, è molto limitata. «A livello nazionale, invece, la produzione è maggiore: stando ai dati del 2021, la Svizzera ha prodotto internamente l’80% del fabbisogno». Nel nostro Paese, prosegue Caccia, il legno copre circa il 10% del fabbisogno di calore. «In prevalenza, si tratta di grossi sistemi di riscaldamento: teleriscaldamento e impianti a cippato. Il settore del pellet ha conosciuto una buona crescita negli ultimi anni, mentre quello della legna in pezzi rimane stabile».


Boschi e tempistiche
La ricchezza di boschi, avverte Caccia, non è però garanzia di rifornimenti immediati. «Non dobbiamo fare l’errore di pensare che se tagliamo l’albero oggi, tra un mese lo abbiamo a disposizione per scaldare la casa. Il tempo di stagionatura naturale, di solito, richiede uno o due anni. Si possono anche velocizzare i tempi, essiccandolo artificialmente. Ma significa avere a disposizione una fonte di calore e, quindi, costi maggiori. Per il pellet vale lo stesso principio». Di qui l’appello ai clienti da parte di produttori e fornitori, affinché si acquisti velocemente. «Quest’anno più che mai è importante muoversi per tempo. Non a caso, i clienti abituali sono già stati invitati ad anticipare l’approvvigionamento. Rifornirsi in inverno, infatti, sarà un problema». Non tanto per una questione di prezzi, dice Caccia. «Ma perché rischiamo di avere problemi di reperibilità del prodotto». Soprattutto per quanto riguarda il pellet: «Inoltre, siccome una parte viene importata, l’aumento della domanda potrebbe generare anche un incremento considerevole del prezzo». Per il cippato, invece, il discorso è diverso: «Nonostante siano necessari grandi quantitativi, il rifornimento è regolato da contratti pluriennali, che fissano prezzo e quantità».
Prezzi e rincari
Eterogenea anche l’evoluzione dei prezzi dei prodotti. «Il prezzo del cippato è rimasto piuttosto stabile, mentre per il pellet il rincaro è partito a inizio anno. Ad esempio, se guardiamo il mese di agosto, il prezzo è aumentato del 50% rispetto allo stesso mese di un anno fa». La guerra e i timori legati all’approvvigionamento hanno giocato un ruolo centrale. «Anche perché l’Ucraina era un esportatore di pellet in Europa e in Svizzera». La legna in pezzi, invece, «probabilmente subirà un certo aumento, ma nulla di paragonabile al pellet». E per quanto riguarda i costi di installazione? «Tutto dipende dalla situazione di partenza: se l’edificio è poco efficiente dal profilo energetico, l’investimento è alto, soprattutto perché le spese per la gestione dell’impianto sono elevate. Se invece l’edificio è ben isolato, è sufficiente posizionare l’impianto a legna in un punto strategico della costruzione e attivarlo una volta al giorno per poter garantire il riscaldamento della casa». In tutti i casi, avverte infine Caccia, «è fondamentale evitare gli sprechi e limitare i consumi».

«Imperativo ridurre gli sprechi»
«Piuttosto che correre alla ricerca di alternative al gas, difficili da trovare nel breve termine, dovremmo dapprima iniziare a ridurre lo spreco di energia». Parola di Massimo Filippini, professore all’USI e all’ETH. Stando a recenti studi pubblicati dal professore, infatti, lo spreco di energia e di elettrica si aggira tra il 20 e il 30%. «La prima misura da adottare per far fronte alla crisi energetica è quella di imparare a modificare i nostri comportamenti in modo da ridurre gli sprechi. A questo proposito, penso che sia importante promuovere in modo molto più deciso, come si è fatto per il COVID, campagne pubbliche che, oltre a sensibilizzare la popolazione sul problema della crisi energetica, forniscano alle aziende e alle economie domestiche possibili soluzioni per ridurre gli sprechi. Non bisogna creare panico, bisogna fornire possibili soluzioni». Già, ma come? «Sul breve termine, sono sufficienti piccoli accorgimenti: non lasciare accese inutilmente le luci, non lasciare gli apparecchi in modalità standby, abbassare di qualche grado la temperatura di casa». Piccoli gesti, insomma, che però possono fare una grande differenza in termini di risparmio energetico. Oltre al cambiamento delle nostre abitudini, «è consigliabile anche verificare che i sistemi di riscaldamento, sia a combustibili fossili sia basati su fonti rinnovabili, siano ottimizzati, non presentino perdite di calore. Ad esempio, dovremmo accertarci che la termopompa entri in funzione negli orari prestabiliti e che le temperature siano corrette».
A medio termine, invece, sarebbe opportuno investire in un migliore isolamento termico degli edifici, e nelle energie rinnovabili. «Misure, queste, che chiaramente richiedono più tempo e anche maggiori risorse economiche». Pensando ai prossimi mesi, però, secondo Filippini è fondamentale cambiare come prima cosa il nostro approccio ai consumi. «Decidere di investire adesso nel fotovoltaico o nella termopompa nella speranza di riuscire a far fronte alla penuria energetica del prossimo inverno non è affatto un’operazione semplice da realizzare. Occorre tempo per realizzare questi investimenti». L’opzione migliore, dunque, è cercare di migliorare l’attuale situazione. «Dobbiamo prepararci a vivere una crisi energetica che per molte generazioni è inedita», sostiene il professore. «Qualcosa di simile, infatti, lo abbiamo conosciuto nel 1973. Ricordo ancora le domeniche senz’auto per sensibilizzare la popolazione sulla scarsita di petrolio». Tuttavia, secondo Filippini, la sfida alle porte potrebbe portare con sé anche alcuni aspetti positivi: «Fronteggiare la crisi potrebbe renderci più consapevoli di quanto siano preziose le risorse energetiche, di quanto sia importante abbandonare le fonti energetiche fossili e puntare in modo deciso sull’efficienza energetica e le fonti rinnovabili. La crisi, quindi, potrebbe essere un’opportunità per indurci a cambiare abitudini, comportamenti, ad essere più consapevoli dell’importanza per il nostro benessere di promuovere uno sviluppo sostenibile basato su fonti rinnovabili».