Keller-Sutter e Parmelin a Washington con un piano B

La presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter e il «ministro» dell’Economia Guy Parmelin sono partiti per Washington con una missione: presentare agli Stati Uniti «un’offerta più interessante», per scongiurare con un’intesa dell’ultimo minuto i dazi decisi da Donald Trump. Il tempo, a meno di ottenere una proroga per proseguire i negoziati, è scarso e la misura tariffaria pesante: in mancanza di un accordo, giovedì entreranno in vigore dazi del 39% sul 60% delle esportazioni svizzere negli USA. I due consiglieri federali sono accompagnati da una piccola delegazione, composta da Helene Budliger Artieda, segretaria di Stato dell’economia, e Daniela Stoffel, segretaria di Stato per le questioni finanziarie internazionali. Agli incontri sarà presente anche l’inviato speciale del Consiglio federale per gli Stati Uniti, Gabriel Lüchinger. Il Consiglio federale ha già detto che in caso di necessità proseguirà i negoziati anche dopo il 7 agosto.
Non è ancora dato sapere il contenuto della nuova offerta (piano B) messa a punto dal Governo né con chi avranno luogo i colloqui a Washington. In maggio, a Ginevra, Keller-Sutter e Parmelin avevano incontrato il ministro delle finanze Scott Bessent e il rappresentante al commercio Jamieson Greer. La Confederazione era stata colta di sorpresa venerdì scorso dall’annuncio dei nuovi dazi. Dopo i primi colloqui, in primavera, con alti funzionari americani, Berna si aspettava una tariffa forfettaria del 10% e una serie di eccezioni, come nel caso dei prodotti farmaceutici o dell’oro, già oggi esenti. La Svizzera aveva messo sul piatto anche 150 miliardi di investimenti da parte di società elvetiche. Ma nel frattempo la Confederazione è stata «superata» da UE, Gran Bretagna e Giappone, che agli occhi di Trump hanno presentato controfferte migliori, ottenendo dazi sensibilmente inferiori a quelli svizzeri. Al presidente degli Stati Uniti interessa principalmente una cosa: limitare il deficit commerciale e ottenere contropartite per l’economia americana. L’UE, ad esempio, si è impegnata a importare grandi quantità di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti proprio in cambio di un’aliquota del 15%. Anche per Berna un’intesa simile potrebbe entrare in linea di conto. L’industria del gas si è detta disposta ad approfondire l’ipotesi.
La telefonata secondo il Tycoon
Oggi Trump ha parlato per la prima volta della telefonata della settimana scorsa con Keller-Sutter e minacciato di applicare a medio termine dazi molto pesanti per i prodotti farmaceutici. In un’intervista all’emittente televisiva CNBC, ha detto che «la donna era gentile, ma non ha voluto ascoltare». «Sostanzialmente non avete pagato dazi. E io ho detto che abbiamo 41 miliardi di dollari (ndr. pari a oltre 33 miliardi di franchi al cambio attuale) di deficit commerciale con voi, Madame. Non la conoscevo. E volete pagare l’1% di dazi (sic)?. E ho detto: non pagherete l’1%». Trump ha anche citato il settore farmaceutico: «Fanno una fortuna con i medicinali». Pertanto nelle prossime settimane il presidente intende applicare, a livello globale, dazi per tale industria. Inizialmente imporrà una «piccola tariffa», ma entro un anno o un anno e mezzo «al massimo» l’aliquota sarà portata al 150% e poi al 250%.
La questione dei farmaci
Secondo il centro di ricerche congiunturali KOF, un ipotetico dazio del 39% sui medicamenti potrebbe avere addirittura un impatto negativo sul PIL elvetico dello 0,7%. I farmaci rappresentano il 48% dell’export svizzero negli Stati Uniti. Trump, anche per ragioni di politica interna, ha già chiesto in separata sede a Roche e Novartis di abbassare i prezzi. Per le due industrie svizzere il mercato statunitense è molto importante. Per questo c’è chi punta sulla loro disponibilità ad abbassare i prezzi per mitigare l’aumento dei dazi. Il CEO di Breitling Georges Kern ha dichiarato negli scorsi giorni alla NZZ che la Svizzera è tenuta in ostaggio dall’industria farmaceutica. In ogni caso Roche, che ha annunciato un pacchetto di investimenti di 50 miliardi di dollari negli USA, ha fatto sapere al Tages-Anzeiger di non considerare i prezzi dei farmaci statunitensi come parte dei negoziati sulla questione dei dazi. A Washington, comunque, i prezzi dei farmaci non dovrebbero essere al centro dell’attenzione, sia perché in questo ambito il Consiglio federale dispone di un margine di manovra limitato sia perché la questione è troppo complessa per essere risolta in tempi ristretti.
Le possibili soluzioni
Secondo gli esperti sentiti dall’agenzia di stampa AWP, la Svizzera ha ancora qualche asso da giocare: da ulteriori impegni di investimento a importazioni agricole agevolate, passando per nuovi acquisti di armamenti. Altre ipotetiche possibilità sono la rinuncia alla Lex Netflix, il trasferimento di know-how in materia di apprendistato o, come detto, un aumento degli acquisti di gas naturale liquefatto. Tutte queste alternative presentano però la loro dose di argomenti a sfavore.
Per quanto riguarda le chance di stringere un’intesa sul filo di lana, le opinioni degli specialisti non sono unanimi. Tra gli ottimisti figura Hans Gersbach, codirettore del KOF. «Potremmo offrire a Trump l’opportunità di ridurre il nostro surplus commerciale con gli Stati Uniti di una certa percentuale durante il suo mandato rispetto al 2024, senza compromettere il nostro collaudato modello economico orientato all’export. Non è facile, ma è certamente fattibile», spiega, aggiungendo che «servono approcci creativi».
Fra le voci pessimiste c’è invece quella di Claude Maurer, dell’istituto di ricerca BAK Economics, che mette in guardia contro un «accordo frettoloso e dell’ultimo minuto». Questo, teme, potrebbe essere costoso. L’esperto inoltre dubita che una simile intesa possa durare a lungo: «Se un attore politico come Donald Trump ha la Svizzera nel mirino, prima o poi troverà un nuovo pretesto».