Esportazione di armi agevolata verso i Paesi NATO

L'esportazione di materiale bellico verso alcuni Paesi NATO e europei va resa più facile. Anche la riesportazione di armi sarà agevolata. Lo ha deciso oggi il Consiglio degli Stati approvando - con 31 voti contro 11 e una astensione - una revisione della Legge federale sul materiale bellico (LMB).
Nel 2022 è entrato in vigore il controprogetto all'iniziativa popolare «Contro l'esportazione di armi in Paesi teatro di guerre civili», nota come «iniziativa correttiva». Attualmente non è possibile vendere armi all'estero se il Paese è coinvolto in un conflitto armato interno o internazionale.
Da allora, il Parlamento ha fatto marcia indietro e ha incaricato il Consiglio federale di rivedere la LMB. Nel suo messaggio, il governo chiede di disporre di una competenza derogatoria per potersi discostare eccezionalmente dai criteri di autorizzazione.
Per gli Stati tale proposta non è però sufficiente. Con 30 voti contro 11 e due astenuti, ha così proposto, al posto della competenza derogatoria, che le richieste di esportazione verso i venticinque Paesi elencati nell'allegato 2 dell'ordinanza sul materiale bellico siano accettate, salvo eccezioni.
Le domande potrebbero essere respinte solo in presenza di circostanze eccezionali e qualora lo richiedano gli interessi della Svizzera in materia di politica estera o di sicurezza. L'allegato comprende la maggior parte dei Paesi dell'UE, gli Stati Uniti, il Canada, l'Australia, il Giappone, la Nuova Zelanda e l'Argentina.
La riforma, hanno spiegato diversi «senatori», è necessaria per garantire la produzione di armi nella Confederazione e, di conseguenza, rafforzare le capacità delle forze armate elvetiche. «Le richieste dell'esercito svizzero non sarebbero sufficientemente elevate per giustificare una produzione nazionale», ha spiegato Fabio Regazzi (Centro/TI).
Infatti, ha aggiunto il ticinese, «la produzione di armi, anche se fortemente politicizzata, non può sfuggire alla logica industriale e economica». Secondo Regazzi dunque, «il mantenimento di una capacita industriale e militare nel nostro Paese dipende in maniera decisiva dalle possibilità d'esportazione».
Giustificando un allentamento ancora maggiore di quanto chiesto dal Consiglio federale, la relatrice della commissione Brigitte Häberli-Koller (Centro/TG) ha ricordato come Germania, Paesi Bassi e Danimarca hanno già chiaramente affermato che non effettueranno più ordini alla Svizzera, giudicata non abbastanza flessibile.
Una minoranza si è opposta alla riforma. Un allentamento della legge sul materiale bellico metterebbe in discussione il principio di neutralità della Svizzera, ha avvertito Daniel Jositsch (PS/ZH). Se in Ucraina un soldato viene colpito da un proiettile «Swiss made», la Svizzera non potrà più essere considerata neutrale, ha sostenuto lo zurighese.
«Io sostengo l'industria bellica svizzera, ma il suo successo non dipende dal regime di esportazione, bensì dal fatto che lo modifichiamo ogni pochi anni o no». Il problema, ha proseguito Jositsch, è che in passato abbiamo cambiato le regole in corsa, creando confusione e sfiducia.
«Condivido in gran parte le opinioni del collega Jositsch», ha detto da parte sua Werner Salzmann (UDC/BE). «La legge svizzera sul materiale bellico - ha aggiunto - rappresenta un esercizio di equilibrio tra la responsabilità etica e gli interessi economici e, soprattutto, quelli di politica della sicurezza».
Le attuali restrizioni minacciano tuttavia la competitività e la sopravvivenza dell'industria bellica svizzera. Orbene, «la neutralità armata implica una Svizzera ben equipaggiata e con una propria industria militare autonoma», ha aggiunto il bernese convincendo il plenum: la proposta di restare alla situazione in vigore è però stata bocciata con 31 voti contro 12.
Da notare che, seguendo una proposta di Thierry Burkart (PLR/AG), la Camera dei cantoni ha deciso, con 29 voti contro 13 e una astensione, che i Paesi che acquistano armamenti dalla Svizzera e che figurano nell'allegato citato, possono trasferire a un altro Paese il materiale bellico ricevuto. Un accordo della Confederazione non sarà necessario.
L'emendamento è necessario in quanto la cooperazione europea in ambito di difesa e armamenti si è intensificata. Oggi, ha spiegato Burkart, gli Stati europei fanno acquisti congiunti e richiedono la possibilità di scambiare materiale. Da notare che questa possibilità non avrebbe effetto retroattivo. Non servirebbe quindi all'Ucraina per il momento, ha precisato il ministro dell'economia Guy Parmelin.
Anche in questo caso la sinistra si è opposta, senza successo. «Se si compie questo passo, munizioni svizzere si ritroveranno ovunque nel mondo, anche in zone di conflitti», ha avvertito Jositsch. Il rischio reputazionale per le aziende svizzere è reale, ha aggiunto Franziska Roth (PS/SO).
Con 31 voti contro 10 e una astensione, i «senatori» hanno invece respinto l'idea di autorizzare l'esportazione diretta e indiretta di materiale bellico verso uno Stato che si difende da un'aggressione contraria al diritto internazionale o da altri crimini di guerra commessi dall'aggressore o dai suoi alleati.
Il dossier passa ora all'esame del Consiglio nazionale.
Swissmem: «Senza un'industria di armamenti non vi è alcuna sicurezza in Svizzera»
Senza un'industria di armamenti non vi è alcuna sicurezza in Svizzera: è la posizione di Swissmem, l'associazione del comparto metalmeccanico ed elettrotecnico elvetico, che prende atto con soddisfazione del voto del Consiglio degli Stati (CSt), che oggi - quale prima camera parlamentare - ha dato il via libera ad agevolazioni nell'esportazione di materiale bellico.
Dopo l'ultimo inasprimento delle regole sull'export di armi nell'ottobre 2021 «gli stati partner europei hanno perso fiducia nella Svizzera come fornitore», si rammarica Swissmem in un comunicato odierno. Gli ordini da queste nazioni sono drasticamente diminuiti: una situazione definita tanto pericolosa quanto assurda, soprattutto alla luce del peggioramento del contesto della sicurezza e del conseguente marcato aumento delle spese militari. Paesi come Germania, Danimarca e Paesi Bassi rinunciano sistematicamente all'acquisto di materiale bellico dalla Svizzera.
Secondo l'organizzazione padronale per l'industria elvetica della difesa le normative attuali sono devastanti, poiché gli stati della Nato rappresentano di gran lunga i clienti più importanti. Le conseguenze stanno diventando sempre più evidenti: le aziende sono costrette a delocalizzare all'estero in parte o totalmente la produzione e il know-how e a ridurre i posti di lavoro. Senza un adeguamento della legge sul materiale bellico «presto in Svizzera non esisterà più un'industria degli armamenti».
Swissmem accoglie quindi con favore la decisione del CSt, che facilita la vendita di armi a una serie di stati, principalmente membri della Nato. «Una buona notizia per l'industria degli armamenti in Svizzera e per la sicurezza del nostro paese», si afferma. Senza le modifiche legislative le imprese del settore non potrebbero infatti sopravvivere economicamente. E questo, a detta di Swissmem, metterebbe a rischio la sicurezza della Confederazione, in quanto non ci saranno più società in grado di mantenere operativi i sistemi dell'esercito svizzero.