Stop allo ius sanguinis, l'Italia dice basta alla doppia cittadinanza: «Per la Svizzera è una decisione devastante»

Da molti anni, ormai, la «guerra» della cittadinanza è uno dei temi politici più caldi in tutto l’Occidente e fonte di scontro frontale tra conservatori e progressisti. L’ultimo Paese che, in ordine di tempo, sta tentando di limitare l’accesso alla propria anagrafe con norme restrittive è l’Italia, dove un decreto in materia proposto dal Governo Meloni - il numero 36/2025 - è stato approvato in via definitiva dal Parlamento quattro giorni fa.
Il decreto modifica la Legge 91/1992 e introduce cambiamenti sostanziali nei criteri di trasmissione della cittadinanza «iure sanguinis» a chi nasce all’estero. Per poter ottenere il passaporto tricolore, non soltanto non basterà più avere un genitore o un nonno originari del Belpaese ma non si dovrà nemmeno essere figli di italiani con la doppia cittadinanza. Una condizione che riguarda decine di migliaia di cittadini svizzero-italiani, ad esempio, i figli dei quali potrebbero in futuro veder respingere la richiesta d’iscrizione all’anagrafe dello Stivale.
Toni Ricciardi, storico dell’Università di Ginevra e deputato del Partito Democratico eletto nella circoscrizione europea, è stato uno dei più strenui oppositori del decreto 36, sino ad annunciare nella dichiarazione di voto finale in aula il suo «profondo disprezzo» per la norma.
«I motivi del nostro dissenso - dice Ricciardi al CdT - sono molteplici e diversi tra loro. A partire dal fatto che il Governo ha deciso di utilizzare, per questa norma, lo strumento del decreto d’urgenza, parlando addirittura di “questione di sicurezza nazionale”. Se ne deduce, quindi, che i cittadini italiani all’estero, adesso, sono un problema di sicurezza nazionale».
Ma le «paure» della destra, incalza Ricciardi, «sono altre. Una motivazione concreta che sostiene questa decisione è, ad esempio, limitare la platea di una possibile elezione diretta del premier, riforma com’è noto molto cara proprio a Giorgia Meloni. Se nel 2022, alle Politiche, ha votato un milione e mezzo di italiani all’estero, in prospettiva si può pensare che questo numero possa superare i 2 milioni. Tutti chiamati a scegliere direttamente il presidente del consiglio. Il che incide notevolmente rispetto alle ambizioni di qualcuno: la base elettorale all’estero è, infatti, notoriamente più progressista di quella che risiede in Italia».
Non solo. «Il Financial Times ha ripreso di recente una voce che da tempo circola - dice ancora Ricciardi - ovvero che gli Stati Uniti minacciano di reintrodurre i visti per i cittadini italiani con l’obiettivo di limitare l’ingresso diretto nel Paese ai molti sudamericani con la doppia cittadinanza. Questo fa capire la genuflessione del Governo Meloni all’amministrazione americana».
Le quarte generazioni
Ma al di là di giudizi meramente politici, figli anche dell’inevitabile contrasto fra maggioranza e opposizione, secondo Ricciardi i «punti nodali» delle norme introdotte pochi giorni fa vanno a «incidere in profondità nella vita delle persone. Per far capire a tutti ciò che intendo dire, parlerò del mio caso personale - dice il deputato del Partito Democratico - in Svizzera, quasi il 65% di italiani residenti ha la doppia cittadinanza. Qui siamo ormai alle quarte generazioni. Il vulnus creato dal decreto 36 è senza precedenti. Mia figlia è nata nel 2020 a Ginevra ed è svizzera e italiana, perché io sono doppio cittadino. Se in futuro dovesse nascermi un secondo figlio, io non potrei trasmettergli direttamente la cittadinanza italiana; potrei farlo soltanto grazie alla mono-cittadinanza di mia madre. Un’anomalia incredibile».
Tutta questa vicenda, sottolinea Ricciardi, è «veramente assurda. Intanto, è sottaciuta, tenuta nascosta, e le persone non ne sono a conoscenza. E poi, dal punto di vista culturale e sociale, innesca un andamento devastante, allucinante. Pensiamo a un cantone come il Ticino dove le terze generazioni, le fattispecie cioè interessate dal decreto, sono tantissime. Il Ticino è un cantone di lingua italiana, è un territorio legato culturalmente all’Italia, con cui ha scambi quotidiani di ogni genere. Dopo il 1992, la doppia cittadinanza è stata una conquista, un processo di integrazione, di completamento. Ma chi può dire che un italiano, abitando in Svizzera o in Ticino, non conservi un legame con il proprio Paese?».
L’ultima riflessione, questa volta forse dello storico prima che del politico, è sul concetto di «italianità».
La discussione parlamentare, dice Toni Ricciardi, «alla fine, si è svolta attorno all’idea di italianità. Ma mi chiedo: che cosa significa oggi italianità, come si declina concretamente? Come abbiamo ricordato nel dibattito in aula, il Governo Meloni ha tagliato, con un colpo di accetta, il legame storico e profondo tra il nostro Paese e le sue grandi collettività sparse in tutto il mondo. Davvero, giunti a questo punto, noi italiani all’estero ci sentiamo una minaccia e non più una risorsa».
La scheda
Favorevoli e
contrari
La Camera dei
Deputati ha approvato definitivamente, il 20 maggio scorso, il decreto-legge
nr. 36-2025 con il quale si modificano in modo sostanziale le norme sulla
cittadinanza italiana sin qui disciplinate
dalla Legge nr. 91-1992. I voti
favorevoli sono stati 137, i contrari 83 contrari e soltanto 2 gli astenuti.
La data ultima
Le nuove norme
stabiliscono che i nati all’estero in possesso di un’altra cittadinanza non
acquisiscano automaticamente quella italiana. Questa preclusione si applica
anche a coloro che sono nati all’estero prima dell’entrata in vigore della
disposizione (27 marzo 2025).
Le eccezioni
Sono tuttavia
previste alcune eccezioni. Ad esempio, per chi sia stato riconosciuto cittadino
italiano entro il 27 marzo 2025; per chi sia figlio o nipote diretto di
genitori o nonni i quali abbiano esclusivamente la cittadinanza italiana; per
chi sia figlio di genitori che abbiano risieduto legalmente e continuativamente
in Italia per almeno 2 anni dopo l’acquisto della cittadinanza e prima della
nascita del figlio.