Temu, strategia d’attacco in Svizzera: tutti i rischi dello shopping cinese online

Chilometro zero. E virtuale. La distanza tra acquirente e fornitore si accorcia sempre di più, anche online. Si afferma il modello «local-to-local», il quale azzera pure gli spazi più brevi e mette in Rete ciò che, fino a oggi, si poteva comprare soltanto al mercato in piazza, alla fiera del sabato, nel negozio di quartiere.
Il colosso cinese dell’e.commerce Temu ha lanciato oggi anche in Svizzera un canale di vendita basato sul modello «local-to-local», già sperimentato con discreto successo in altri Paesi europei e in Nord America. Imprenditori e commercianti elvetici potranno offrire i propri articoli direttamente sulla piattaforma elettronica, dando la possibilità ai consumatori di avere a casa, rapidamente e - si presume - a prezzi più bassi, prodotti prima introvabili su Internet. I motivi di questa apparente rivoluzione sono chiari, e rientrano in strategie adottate da tutti i grandi operatori. Il «local-to-local» facilita le transazioni interne a un determinato territorio, promuovendo così un mercato più connesso ed efficiente; riduce, poi, la lunghezza delle catene di approvvigionamento, dando modo alla logistica di accelerare i processi di consegna; inoltre, rende i prodotti locali di alta qualità più accessibili ai consumatori.
Un favore a sé stessa
Per promuovere la sua iniziativa, Temu insiste sul fatto che essa rende più facile, per le aziende, connettersi con una platea di acquirenti altrimenti irraggiungibile. Insomma, sostiene di fare un favore alle imprese. In realtà, le cose stanno un po’ diversamente. Azzerare o ridurre le distanze serve in primo luogo proprio a Temu, che oggi vende merci provenienti soprattutto dalle fabbriche cinesi, con tempi d’attesa abbastanza lunghi e assolutamente non competitivi. Temu, inoltre, spedisce via aerea ogni giorno decine di migliaia di piccoli pacchi, confezionati in modo che rimangano sotto il limite di duty-free dei Paesi di destinazione. Ma negli USA, Donald Trump ha abolito la norma che consentiva l’importazione di merci fino a 800 dollari esenti da dazi. E l’UE sta discutendo se introdurre una tassa fissa di due euro per ogni pacco da Paesi non appartenenti all’Unione. Concentrandosi sui venditori con inventario locale e rapida capacità di evasione degli ordini, Temu garantirebbe tempi di consegna più rapidi e un accesso facile agli articoli più ingombranti, gli stessi che, in genere, sono difficili da spedire a livello internazionale.
C’è poi un terzo fattore, anch’esso determinante. A inizio agosto di quest’anno, la Commissione europea ha accusato Temu di violare il Digital Service Act (DSA), la legge che stabilisce obblighi normativi chiari per tutte le piattaforme online, siano esse social o commerciali. In particolare, Temu è imputata di aver violato gli articoli 33 e 34 del DSA, ovvero di non aver valutato in maniera adeguata i rischi legati alla diffusione sulla sua piattaforma di prodotti illegali e contraffatti o pericolosi.
L’indagine della Commissone UE è partita nell’ottobre 2023 ed è proseguita sino alla fine del 2024, evidenziando tra gli altri gravi problemi su prodotti quali cosmetici, caschi, giochi per bambini, materiale elettrico, videocamere wireless prive di informazioni sugli aggiornamenti di sicurezza e giudicate rischiose perché potenzialmente in grado di trasmettere i propri dati a database esterni, quasi certamente collocati in Cina, e di alimentare in questo modo il Grande Fratello di Xi Jinping.
Nessun intermediario
Ma allora, quanto serve l’offerta di Temu alle imprese svizzere? È davvero un buon affare per le aziende elvetiche entrare nella piattaforma cinese? Secondo Michael Gibbert, professore ordinario di Marketing all’USI di Lugano, la risposta è negativa. No. Non solo non serve. Ma può essere addirittura un danno.
«Siamo di fronte al classico cavallo di Troia - dice Gibbert al Corriere del Ticino - Il modello di business di Temu taglia via ogni intermediario, c’è da chiedersi allora che senso abbia allearsi con il colosso cinese, soprattutto per chi già opera, ad esempio, con la distribuzione in house». Nessun senso, sentenzia Gibbert. Secondo il quale, nemmeno i piccoli produttori potrebbero ottenere realmente un vantaggio dall’alleanza con Temu.
«Se sono un agricoltore dei Grigioni, non vado certo su Temu a distribuire i miei prodotti, prima di tutto perché non ne ho abbastanza. Ma non ci vado anche perché non ho alcun interesse a restare, sulla stessa piattaforma, accanto a prodotti importati dalla Cina».
Al contrario, Temu ha invece enormemente bisogno di questo accostamento. «A loro conviene moltissimo, soprattutto per rafforzare la reputazione», di cui sono carenti dato che commerciano soprattutto manufatti di scarso valore. «Avere nel proprio catalogo prodotti Made in Switzerland o Swiss Distributed è importantissimo, per Temu sarebbe una medaglia da sfoggiare».