A Lostallo il grotto che resiste: Roby Giudicetti e il ritorno alla vita dopo l’alluvione
Roby Giudicetti parla lentamente, come chi ha imparato che il tempo, a volte, è fatto di detriti. Parole asciutte, essenziali, che pesano come le pietre sollevate a mano dopo l’alluvione. Quel 21 giugno 2024, il Grotto Sala di Lostallo – oggi diventato Crott del Sala, in omaggio al dialetto – fu travolto da fango e detriti. Undici mesi dopo, ha riaperto le sue porte. Ma non è un ritorno qualunque: è il segno che qualcosa, dentro e attorno, ha saputo rimettersi in cammino.

«Era tutto coperto dalla polvere», dice Roby. «Non c’era quasi nulla da salvare. All’inizio ho pensato: lo rifacciamo. Poi, a un certo punto, ho esitato. Stavo guidando, mi sono detto: vado avanti o lascio perdere?». L’immagine è semplice, quasi quotidiana: una strada, un bivio davanti, un dubbio dentro. Ma attorno a Roby, fin dall’inizio, c’erano persone. La famiglia, gli amici, i volontari. «È stato come se tutti volessero che andassimo avanti. E allora avanti. Anche solo per rispetto di quella fiducia».

La ricostruzione è cominciata così, in silenzio, senza proclami. Roby non ha delegato. «Ero sempre sul cantiere. Ogni giorno si vedeva qualcosa cambiare. Prima il tetto, poi le pareti. Poi sono tornate le voci. Quelle mi hanno dato forza». Non si tratta solo di mattoni e travi. Il Crott è diventato, anche per chi lo guarda da fuori, un punto di riferimento. Un gesto di volontà più che un progetto. Un tentativo riuscito di tenere viva una presenza in un luogo ferito.

«Il pensiero va a quello che è successo», dice. «Non tutto si può dimenticare. Ma ogni pietra rimessa al suo posto è anche un modo per andare avanti». È un equilibrio sottile, quello tra memoria e rinascita. Nessun trionfalismo, nessuna retorica. Solo un lento lavoro di ritorno.

Riaprire, in questo caso, è stato anche un modo per restituire qualcosa a chi, in silenzio, aveva sostenuto. «Mi hanno sempre aiutato», racconta Roby. «Il Comune in particolare, ma anche tanti volontari. Le assicurazioni? Qualcosa è arrivato, qualcosa no. Ma il punto è che non mi sono mai sentito solo». Per questo ha deciso di organizzare una cena per chi ha dato una mano. «Sabato prossimo, se il tempo tiene. Vorrei che chi ha contribuito si annunciasse. È un piccolo grazie, ma sentito».
Il turismo, oggi, è una variabile. «Una volta c’era più movimento», ammette. «Soprattutto dalla Svizzera tedesca. Ora, forse per via dell’autostrada, si fermano meno. Ma non importa. Quelli che vengono, vengono perché sanno cos’è successo. Sentono che questo non è solo un posto dove mangiare. È un posto che ha resistito».

La storia di Roby cammina a passo lento, come l’acqua che scava la roccia, come le stagioni nei paesi di montagna. Luoghi dove la presenza conta più della velocità. Dove «si fa con quello che c’è», come si dice da queste parti, e si tiene in piedi quello che si può. Come in una frase di Franco Arminio, quando scriveva: «I villaggi non muoiono, se c’è qualcuno che li ama ancora».
Il Crott del Sala non è rinato per caso. È rinato perché qualcuno, anche quando tutto sembrava da rifare, ha deciso di provarci. E perché una comunità, senza clamori, si è messa al lavoro. Non per dimenticare. Ma per restare. E per esserci ancora.