Abbattere quell’ecomostro? «Troppo costoso e complesso»

Nelle intenzioni dei progettisti avrebbe dovuto diventare una palazzina residenziale di sette piani, ma ormai da una decina di anni, quello scheletro di cemento in via Giuseppe Maggi 1 a Pregassona si è guadagnato il poco lusinghiero appellativo di «ecomostro». Seppur recintato per motivi di sicurezza, il palazzone incompiuto è circondato da un terreno che non versa certo in condizioni migliori. Il cantiere è uno dei tanti riconducibili alla Adria Costruzioni, impresa edile in cui vertici erano stati condannati e cinque anni e tre mesi di carcere per ripetuta truffa per mestiere e appropriazione indebita. La vicenda penale approderà in Appello, ma nel frattempo lo scheletro di cemento armato è ancora lì.
E anche la politica è tornata a sollecitare il Municipio. Nel 2019 era stato il leghista Andrea Sanvido a chiedere che cosa si potesse fare, lo scorso luglio a tornare alla carica era stata la consigliera comunale Sara Beretta Piccoli a nome del gruppo PLR-PVL. Per rispondere al quesito principale, beh la risposta è «poco». Il Municipio ricorda che negli anni ha sempre monitorato la situazione «in relazione ad eventuali fonti di pericolo per la sicurezza e l’incolumità della popolazione in seguito all’abbandono della sua edificazione».
Recentemente c’è stato anche uno sviluppo, con l’Esecutivo che ha inviato una lettera ai proprietari «con un nuovo ordine di riordino e pulizia del sedime». In ogni caso, si era attivato già nel 2016, «prima sollecitando direttamente il progettista e l’unico comproprietario reperibile alla messa in sicurezza e riordino del fondo». Ordini che non hanno sortito nessun effetto. Il Comune è dunque intervenuto in via sostitutiva (come previsto dalla Legge edilizia): «Gli interventi sono stati eseguiti da ditte specializzate e hanno riguardato lo smontaggio della struttura armata e casserata della soletta in cima allo stabile, la rimozione di travi e puntellazioni, la messa in sicurezza dell’interno dello stabile di tutti i materiali e le attrezzature presenti ai bordi delle solette, oltre alla pulizia generale del sedime. È pure stata posata una recinzione lungo tutto il perimetro dell’area di cantiere. Per le spese relative all’esecuzione d’ufficio è stata avviata la relativa procedura d’incasso». A tal proposito, il Municipio ritiene che le misure attuate per impedire l’accesso al cantiere siano sufficienti e sicure. «Si evidenzia che in ogni caso, con alta verosimiglianza alla luce della situazione attuale, i costi per ulteriori riordini dovranno essere eseguiti dal Comune in via sostitutiva, con tutte le incognite sul futuro recupero delle stesse».
«Nonostante la situazione relativa al decoro, per quanto attiene la sicurezza, le periodiche osservazioni non evidenziano pericoli imminenti per gli utenti degli spazi pubblici circostanti», prosegue l’Esecutivo, il quale evidenzia in ogni caso «che i servizi di competenza verificano regolarmente lo stato dell’oggetto e, grazie anche alla collaborazione di una parte della proprietà del fondo, è ora possibile far eseguire a spese di quest’ultima regolari interventi di riordino e manutenzione».
Quanto alla possibilità per il Comune di farsi carico dei costi di demolizione dell’edificio (per poi richiederli ai proprietari), il Municipio ricorda che si tratta dell’extrema ratio «e appare percorribile solo dopo una lunga procedura amministrativa che prevede l’emanazione di diverse decisioni, che devono a loro volta crescere in giudicato. La demolizione dello stabile sarebbe poi a sua volta una procedura sottoposta a licenza edilizia, con dei costi stimabili in diverse decine di migliaia di franchi, che il Comune dovrebbe anticipare, senza nessuna garanzia di poterli poi vedere restituiti e comunque solo al termine di un ulteriore vertenza giudiziaria di natura esecutiva».
Neppure la via dell’esproprio o dell’acquisto del terreno (per edificarvi alloggi a pigione moderata, come proposto dall’interrogazione del PLR-PVL) è, a mente della Città, percorribile: questo perché – indica il Municipio ֪– il fondo si trova in zona R7 intensiva «e non vi è alcun vincolo a piano regolatore di interesse pubblico, né alcun altro presupposto per cui una procedura di esproprio (che comunque avrebbe dei costi e delle tempistiche molto lunghe) possa entrare in considerazione». L’acquisto, oltre che costoro, è in ogni caso impossibile poiché il terreno è parzialmente gravato dal divieto di disporre imposto dall’autorità penale».