Il racconto

Accuse pesantissime, ma quel prete ticinese continuò a insegnare

Tra i casi di studio descritti in dettaglio nel rapporto dell'Università di Zurigo anche quello di un sacerdote, docente in seminario e in un ginnasio ticinese, che «commise i primi casi di abuso sessuale» su una bambina di otto anni
Dario Campione
12.09.2023 19:15

Alcuni «casi di studio» pubblicati nel rapporto dell’Università di Zurigo evidenziano «la particolare posizione di potere e di prestigio» di sacerdoti svizzeri che, in passato, non vennero, o furono «in minima parte, sanzionati dalla Chiesa», la quale in concreto permise loro di «continuare ad abusare sessualmente» di bambine e bambini.

Che lo avessero fatto per «salvaguardare la posizione del chierico» o per «proteggere la reputazione della Chiesa, che avrebbe sofferto se gli atti fossero stati resi noti», con il loro modo di agire – scrivono gli estensori del rapporto – «i responsabili ecclesiastici insabbiarono gli abusi» e contribuirono a erigere «un muro di silenzio che, oltre a rendere vergognosa la realtà dei fatti, ha reso difficile per le persone coinvolte denunciare i casi di abuso, poiché temevano di non essere credute».

Uno di questi «casi di studio», descritti in dettaglio, riguarda un prete ticinese che nella «seconda metà del XX secolo era docente in seminario e in un ginnasio ticinese», nonché insegnante privato di musica. Il sacerdote «commise i primi casi documentati di abuso sessuale» su una bambina di otto anni durante le sue lezioni di musica, che teneva in locali isolati all’interno di strutture ecclesiastiche o nel proprio appartamento».

Avvisato dalla famiglia della piccola, «il vescovo emise una “proibizione assoluta di ricevere […] ragazzi per dare loro lezioni”. Il provvedimento ebbe però scarso effetto, e il sacerdote abusò di altri minori nei cinque anni successivi. Solo allora fu avviato un procedimento penale», che si concluse con una condanna a due anni di reclusione per ripetuti «atti di libidine» e «atti simili a congiunzione carnale» commessi, nell’arco di cinque anni, su sei minori di età compresa tra gli 8 e i 15 anni.

«L’esecuzione della pena fu poi sospesa e sostituita dal ricovero in un istituto psichiatrico, dopo che una perizia aveva appurato uno stato di scemata responsabilità».

Il punto è che «il vescovo» tentò «di influenzare le autorità secolari per garantire le migliori condizioni possibili al sacerdote in caso di condanna e che lo stesso «sacerdote rimase fino alla sua morte all’interno del territorio diocesano», lavorando negli anni successivi come collaboratore parrocchiale e celebrando persino matrimoni.