Contagio da epatite al Civico, un decennio di scontri in aula
Sono passati quasi 9 anni da quando quattro pazienti del Civico contrassero l’epatite C a seguito di un grave errore procedurale. Si erano presentati in ospedale per una TAC e un operatore sanitario - mai identificato - aveva iniettato loro una soluzione isotonica e poi il liquido di contrasto. Non sapevano però che prima di loro allo stesso protocollo era stato sottoposto un altro paziente, affetto da epatite. L’operatore aveva tentato di iniettargli la soluzione isotonica ma, non riuscendo a prendere bene la vena, aveva infilato di nuovo l’ago (contaminato dal sangue) nel flacone multiuso, infettandolo e contagiando così alcuni dei pazienti successivi. Un errore che ha poi spinto l’Ente ospedaliero cantonale (EOC) a proibire i contenitori multiuso e optare per i monodose.
Un percorso travagliato
Quello del contagio al Civico è di certo uno dei casi giudiziari più lunghi, combattuti e per certi versi travagliati degli ultimi anni. Tre dei quattro pazienti si costituirono parte civile tra il 2013 e il 2014 e ancora oggi attendono giustizia. Oggi è iniziato il processo d’appello e forse tra qualche giorno il caso potrà dirsi finalmente chiuso anche se - viste le schermaglie che da quasi un decennio si assistono tra accusa e difesa - molto probabilmente (indipendentemente dalla sentenza) il caso approderà poi al Tribunale federale.
Ma torniamo al dibattimento odierno. «Si dice che il tempo - ha ricordato l’avvocato Rossano Bervini, patrocinatore di una delle vittime - è in grado di guarire le ferite. Per il mio cliente questo non vale. La rabbia è ancora tanta. Talmente tanta che oggi non se l’è sentita di venire in tribunale per sentir rievocare, per la terza volta, un episodio che gli ha cambiato la vita».
La terza volta
È infatti la terza volta che questo caso arriva in aula. La prima nel 2016, quando la Pretura (il giudice Siro Quadri) condannò l’EOC per lesioni colpose gravi a causa di carenze organizzative interne. L’avvocato dell’Ente ospedaliero (Mario Molo) presentò però ricorso, e lo vinse. La Corte d’appello decise che il processo andava rifatto perché nell’atto d’accusa (firmato dall’allora procuratore generale John Noseda) veniva rimproverata all’EOC una carente organizzazione interna basandosi su una violazione della norma ISO 9001, mentre il giudice Quadri aveva preso in considerazione anche la Legge sanitaria cantonale. L’atto d’accusa è così stato ricompilato (il dossier è nel frattempo passato al procuratore pubblico Moreno Capella) e nel 2019 si è arrivati al processo bis. Con una nuova condanna, sempre decisa da Quadri.
Il tentativo di ricusa
Gli avvocati dell’EOC hanno a quel punto tentato due strade: far ricusare il giudice (sollevando una presunta mancata imparzialità) e contrastare la sentenza in Appello sostenendo una violazione del principio di «inviolabilità dell’atto d’accusa». Per quanto riguarda la ricusa l’istanza superiore aveva inizialmente dato ragione all’EOC, ma era poi stato il Tribunale federale a ribaltare la decisione. E i giudici di Losanna avevano usato toni piuttosto duri nei confronti della richiesta avanzata dalla difesa: «È contraria alle regole della buona fede. Non è corretto mantenere in riserva la critica per poi sollevarla solo qualora l’esito della procedura sia sfavorevole». Nei prossimi giorni il giudice Angelo Olgiati deciderà invece se confermare la sentenza di colpevolezza (con l’Ente costretto a pagare una multa di 60.000 franchi) o far cadere le accuse.
L’identificazione
Il nodo centrale del processo, di nuovo, riguarda la mancata individuazione del colpevole. È giusto che, non essendo riusciti a capire chi tra gli operatori del Civico ha commesso l’errore, debba essere l’EOC a venir condannato? Secondo l’avvocato Molo no. Perché - così sostiene la difesa - non esiste l’obbligo di registrare il nome di chi compie quel tipo di operazioni. E, se ci fosse, l’ospedale verrebbe sommerso da ulteriore burocrazia. Tesi contestata dall’accusa e dagli avvocati di parte civile. «Non mi sembra una procedura - ha detto l’avvocato Stefano Pizzola - così complicata: basta aggiungere un campo nel sistema informatico».
«Non capisco questa linea»
Oggi sono di nuovo piovute critiche nei confronti della linea difensiva adottata dai legali dell’Ente pubblico. L’avvocato Bervini (che tra l’altro negli anni Ottanta, quando era consigliere di Stato, contribuì a fondare l’EOC) l’ha definita «puramente processuale». «Se si vuol bene a questo ospedale occorre essere severi. Questa linea difensiva sinceramente non la capisco». Nel 2019 parole analoghe arrivarono dal procuratore Capella: «L’impressione è che la difesa stia facendo di tutto affinché questo processo non venga celebrato oppure rimandato alle calende greche».