Da Piacenza per rapinare: condannati in quattro

Durante le rispettive arringhe, andate in scena giovedì davanti alla Corte delle assise criminali, gli imputati erano stati descritti come «disorganizzati al massimo». C’è chi li aveva accostati all’armata Brancaleone. Ma, di fatto, le scorribande da Piacenza al Mendrisiotto sono state organizzate con uno scopo ben preciso: rapinare i distributori di benzina. E l’epilogo – ovvero la sentenza pronunciata dal giudice Amos Pagnamenta quest'oggi – non lascia spazio a dubbi: i quattro imputati sono infatti stati tutti condannati. Stiamo parlando di quattro cittadini ecuadoriani residenti in Italia, di età compresa tra i 31 e i 60 anni, che sono stati riconosciuti colpevoli – a vario titolo – di rapina aggravata, tentata rapina (in un caso in forma semplice). La Corte ha quindi sposato la tesi accusatoria della procuratrice pubblica Veronica Lipari che ha identificato – dietro all’agire del quartetto – la banda. Per i due imputati che hanno preso parte a più azioni criminali – rapine più o meno riuscite tra l’ottobre e il dicembre dello scorso anno – la vita proseguirà dietro le sbarre: 4 anni di reclusione al 34.enne difeso dall’avvocato Riccardo Maiolo e 3 anni e mezzo al connazionale 43.enne assistito dall’avvocato Stefano Stillitano. Un anno sospeso per un periodo di prova di due, invece, per la 60.enne – difesa dalla legale Claudia Solcà – la quale, oltre ad aver fornito in alcune occasioni l’automobile, ha pure partecipato all’ultima «trasferta»: quella del 19 dicembre scorso interrottasi con l’arresto alla dogana di Marcetto a Novazzano. Infine, 16 mesi (anche in questo caso sospesi) nei confronti del 31.enne – difeso da Sebastiano Paù-Lessi – che, quel giorno, era al volante dell’auto (seppur senza licenza di condurre). Per tutti, inoltre, è stata decreta l’espulsione dalla Svizzera per un periodo compreso tra i 5 e gli 8 anni.
Sì, era una banda
Il nodo da sciogliere, se vogliamo, era quello dell’organizzazione del gruppo. Insomma, l’aggravante della banda che il collegio difensivo – durante le arringhe – ha tentato di smontare. «Difficilmente si riesce a immaginare una banda più banda di questa» ha però sottolineato il presidente della Corte, il quale ha confermato l’aggravante. «Hanno agito reiteratamente – ha sottolineato Pagnamenta –, si erano organizzati, e suddivisi i ruoli». Inoltre, per due degli imputati è stato accertato che avessero agito in comune in cinque occasioni. Inoltre, è stato fatto presente in aula al momento della lettura della sentenza, «si ripartivano in parti uguali il provento».
Senza soldi, ma lunghi viaggi
Le scorribande, come detto, sono cominciate il 26 ottobre con un primo tentativo di rapina alla stazione di servizio di via Casate a Novazzano. Il quel caso però, i malviventi non hanno arraffato nulla perché il distributore era... chiuso. Il primo di novembre invece, il colpo è andato a segno e, durante i concitati attimi, è stata pure immobilizzata la commessa. Il 7 dicembre l’episodio più singolare: due gruppi di rapinatori (l’inchiesta è riuscita a collegare altre persone ai gesti criminali ma sono tuttora a piede libero) hanno preso di mira – contemporaneamente – i due distributori Piccadilly ubicati uno in fronte all’altro su via San Gottardo a Balerna. In un caso la rapina – vista con gli occhi degli attori – è riuscita. Nell’altro, invece, i malviventi hanno desistito perché la cassiera ha pensato che fosse uno scherzo. Infine altri due tentativi: il 14 dicembre, andato in fumo perché i rapinatori erano convinti che la commessa avesse azionato l’allarme e il 19 dicembre giorno dell’arresto.
Gli imputati, nei casi «mancati» hanno più volte parlato di semplici sopralluoghi. «La zona la conoscevano più delle loro tasche – ha sentenziato Pagnamenta –. Non avevano soldi da buttare in benzina e caselli». Bastava – ha chiosato – fare una ricerca su Google Street View. Nessun sopralluogo, erano tentativi veri e propri.