Assise criminali

Dai pugni al calcio in testa: è stato tentato omicidio

Condannato a 4 anni l’uomo che nell’ottobre del 2024 a Lamone picchiò violentemente il compagno dell’ex fidanzata – La Corte però l’ha ritenuto colpevole di un solo colpo al capo, non tre – «Ha dato sfogo alla sua rabbia repressa: si è trattato di giustizia privata»
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Valentina Coda
21.11.2025 18:51

La Corte non ha avuto alcun dubbio su cosa sia accaduto la sera del 21 ottobre dell’anno scorso all’esterno di un esercizio pubblico di Lamone. «Emerge chiaramente che il caso costituisca a tutti gli effetti una giustizia privata messa in atto dall’imputato nei confronti del compagno dell’ex fidanzata. Il tutto corredato da un consumo di sostanze psicoattive che purtroppo è sfociato in agiti violenti ed estremamente pericolosi».

Il video inchioda e scagiona

È stato condannato a 4 anni per tentato omicidio intenzionale per dolo eventuale il 29.enne cittadino svizzero che quella sera ha violentemente picchiato la vittima «frastornandola di pugni al viso e di avergli tirato un calcio alla testa». Uno solo però, non «almeno tre» come riportato nell’atto d’accusa del procuratore pubblico Zaccaria Akbas (che aveva proposto una pena di 4 anni e 4 mesi). La prova che ha inchiodato – ma anche scagionato – l’imputato è un filmato fornito da un testimone che ha assistito all’aggressione, nonostante durante i primi interrogatori il 29.enne avesse già ammesso – anche se poi ha ritrattato – di aver tirato un calcio in testa al rivale, costituitosi accusatore privato e rappresentato dall’avvocato Maurizio Pagliuca. «Tutte le dichiarazioni assunte sono concordi nel ritenere che la colluttazione sia iniziata prima delle ripresa. Agli atti, quindi, non vi sono indicazioni chiare dei colpi inflitti prima che iniziasse il filmato. Ma la Corte non ha avuto alcun dubbio che il primo calcio sia stato sferrato mirando espressamente al capo (colpo che trova riscontro anche nel referto del medico legale) quando la vittima si trovava a terra, inerme e dando la schiena al suo aggressore. Di contro, però, in virtù del principio in dubio pro reo, l’imputato deve essere prosciolto per gli altri due calci», ha rilevato il presidente delle Criminali, Curzio Guscetti.

L’imputato, patrocinato dall’avvocato Costantino Castelli che ne aveva chiesto il proscioglimento, durante tutto il dibattimento è sempre rimasto fermo su un punto:lui, di calci alla testa della vittima, non ne ha mai sferrati. Una tesi, questa, completamente diversa dalle dichiarazioni rese da lui stesso nei primi verbali di interrogatorio, in cui ha esplicitamente detto di aver «massacrato la vittima e di averle dato una lezione». Vittima che in aggiunta non è mai stata vista di buon occhio dal 29.enne. Anzi, per lui – ha ammesso in aula – era una persona poco raccomandabile e per niente adatta a stare accanto alla sua ex fidanzata, ma soprattutto a sua figlia. Questo aspetto, alla fine, ha avuto un peso nelle motivazioni che hanno portato alla decisione di condanna. «La vittima non è mai stata accettata dall’imputato ed è sempre stata ritenuta inadeguata a frequentare la ex compagna e di conseguenza la figlia. Una malsana mascolinità tossica. E quella sera, a Lamone, si è accesa la miccia esplosiva di tutti i sentimenti negativi che l’imputato nutriva nella vittima, dando completamente sfogo alla sua rabbia repressa».

Secondo la perizia psichiatrica, al momento dei fatti l’uomo era affetto da una intossicazione acuta dovuta a un poliabuso di sostanze psicoattive, aveva una capacità di valutare e agire leggermente scemata e i reati sono da mettere in relazione proprio con questa condizione di poliabuso. Di grado medio, infine, il pericolo di recidiva. Dalle evidenze peritali è scaturito - come misura sostitutiva dell’arresto - l’obbligo di sottoporsi a un trattamento ambulatoriale e il divieto di contattare e avvicinarsi alla vittima. Trattamento ambulatoriale che la Corte gli ha imposto di continuare a seguire, prolungando quindi la misura sostitutiva dell’arresto. 

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