In aula

Pugni e calci alla testa: prima ammette, poi nega

Alla sbarra con l’accusa di tentato omicidio intenzionale un uomo che nell’ottobre del 2024 a Lamone avrebbe violentemente picchiato il compagno della sua ex fidanzata – Per l’accusa, che chiede 4 anni, è un «bugiardo» – La difesa: «È un processo alle intenzioni»
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Valentina Coda
20.11.2025 18:30

Non riconosce né i fatti né le imputazioni di tentato omicidio intenzionale, subordinatamente tentate lesioni personali gravi, e ritratta le ammissioni rese durante i verbali di interrogatorio. «Non ero io, ma la rabbia che parlava. Ero confuso e ho detto parole a vanvera». Nega ogni addebito – anche se inizialmente è stato lui stesso ad attribuirsi responsabilità – il 29.enne cittadino svizzero che la sera del 21 ottobre dell’anno scorso fuori da un esercizio pubblico di Lamone avrebbe picchiato violentemente il compagno della sua ex fidanzata. L’atto d’accusa stilato dal procuratore pubblico Zaccaria Akbas parla di almeno una ventina di colpi (anche quando la vittima era a terra), tra cui pugni e sberle al volto e almeno tre calci alla testa, oltre ad avergli tirato addosso una bobina del rame da 36 chili che fungeva da tavolo per l’esterno. L’imputato, all’indomani dei fatti, si è costituito.

«Gli ho dato una lezione»

«Gli unici colpi che ho sferrato, a parte quello al costato ripreso dalla videosorveglianza, sono delle sberle al viso. Non ho mai tirato dei calci alla testa», ha detto in aula il 29.enne prima di essere incalzato dal presidente della Corte delle assise criminali, Curzio Guscetti, ricordandogli le ammissioni rese in sede di interrogatorio, dove l’imputato ha parlato esplicitamente di aver «massacrato la vittima e di averle dato una lezione». Vittima, in aggiunta, dipinta dal 29.enne come poco raccomandabile e quindi non adatta a stare accanto alla sua ex compagna, ma soprattutto alla loro figlia. L’uomo, quella sera, è giunto a Lamone in uno stato alterato vista l’assunzione, in precedenza, di alcol, cocaina e ansiolitici. Era stato chiamato dall’ex fidanzata, che gli chiedeva aiuto perché si sentiva – citiamo l’atto d’accusa – minacciata dalla presenza della vittima che stava stazionando fuori dalla sua abitazione. Secondo la perizia psichiatrica, al momento dei fatti l’uomo era affetto da una intossicazione acuta dovuta a un poliabuso di sostanze psicoattive, aveva una capacità di valutare e agire leggermente scemata e i reati sono da mettere in relazione proprio con questa condizione di poliabuso. Di grado medio, infine, il pericolo di recidiva. Dalle evidenze peritali è scaturito - come misura sostitutiva dell’arresto - l’obbligo di sottoporsi a un trattamento ambulatoriale e il divieto di contattare e avvicinarsi alla vittima.

«Il colpo alla testa immortalato nel video impressiona: sembrava che stesse colpendo di collo pieno un pallone da calcio. L’imputato ha agito per dolo eventuale, era consapevole che avrebbe potuto uccidere la vittima e cambiare versione non gli giova di certo», ha rilevato Akbas durante la requisitoria calcando la mano sul poliabuso di sostanze da parte dell’imputato, definito come un «cocktail esplosivo» dal perito. 4 anni e 4 mesi di detenzione la pena proposta dal pp e l’obbligo di proseguire il trattamento ambulatoriale. Anche l’avvocato Maurizio Pagliuca, rappresentante dell’accusatore privato, ha definito l’imputato «un bugiardo». «Quello che non accetto è che addossi le responsabilità alla vittima: da un lato mente, dall’altro incolpa una terza persona anche se il suo agire è illecito. Racconta una versione, poi si accorge che potrebbe costituire un pericolo e fa un passo indietro».

«Ipotesi sorprendenti»

Non stiamo parlando di fatti, piuttosto di ipotesi e di intenzioni. È questa, riassumendo all’osso, la tesi sostenuta dal patrocinatore del 29.enne, l’avvocato Costantino Castelli, che parla di «sorprendenti ipotesi di reato formulate nell’atto d’accusa. Esse non riguardano i fatti (nemmeno in via subordinata), quindi ciò che è stato, ma ricalcano quello che avrebbe potuto essere. È un processo alle intenzioni». La vittima, ha aggiunto Castelli riprendendo le valutazioni del medico legale, «ha riportato solo escoriazioni diffuse e alcune ecchimosi. Basta, niente di più». La tesi dell’accusa si fonda sui colpi sferrati al capo della vittima da parte dell’imputato, e «il video ci dà un quadro chiaro della dinamica: un banale tafferuglio. Non a caso il perito utilizza il condizionale e non ha trovato traccia di un colpo violento. Non ci sono quindi riscontri attendibili e oggettivi». In virtù del principio in dubio pro reo, Castelli ha chiesto il proscioglimento del suo assistito. Oggi la sentenza.

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