Dalla Mesolcina (e da Lugano) all'Etiopia per costruire la nuova Ambasciata svizzera

Un ingegnere con i piedi per terra, sempre aperto a nuove sfide, veglia sulla costruzione della nuova Ambasciata svizzera di Addis Abeba, in Etiopia. Mattia Cereghetti, 41 anni, mesolcinese d’origine ma cresciuto a Lugano, lavora presso lo studio WaltGalmarini di Zurigo e si reca periodicamente nella metropoli dove, ci spiega, è responsabile strutturale del progetto firmato dagli architetti OLBH di Zurigo. L’Ambasciata svizzera nella seconda nazione dell’Africa per numero di abitanti (125 milioni) sarà nelle intenzioni dei progettisti qualcosa di «più simile a un luogo suggestivo, luminoso e ottimistico di incontro e scambio che a una semplice sede di rappresentanza classica».
Mattia Cereghetti segue gli stati d’avanzamento della struttura a telaio composta da pilastri in acciaio e solette a cassettoni in calcestruzzo. «È un progetto molto affascinante – racconta l’ingegnere – nel quale la struttura risulta anche essere l’architettura, cosa piuttosto rara». Il cantiere procede bene e con grande soddisfazione del team svizzero gli etiopi hanno accolto le sfide di una costruzione unica per Addis Abeba. Qui si parla spesso italiano oltre all’amarico, anche perché le grandi imprese edili del luogo hanno lontane radici nel Belpaese.
Addis Abeba, che si trova nel Corno d’Africa a oltre 2.350 metri sul livello del mare, è stata soggetta a uno sviluppo urbanistico eccezionale negli ultimi anni. L’Ambasciata svizzera in Etiopia si colloca nel baricentro diplomatico del continente. Ad Addis Abeba, che significa «nuovo fiore», infatti hanno sede l’Unione Africana e alcune commissioni delle Nazioni Unite.
I viaggi di lavoro sono stati per Mattia Cereghetti anche un’occasione di scoperta dei legami storici tra Svizzera e Etiopia e della stima dell’imperatore Menelik II per Alfred Ilg. Il geniale ingegnere divenne anche ministro dello Stato africano dove ancora oggi è ricordato dalla gente comune e nel suggestivo Addis Ababa Museum.

Mattia Cereghetti, come procedono i lavori nel cantiere della nuova ambasciata svizzera in Etiopia?
«I lavori procedono molto bene in cantiere perché si stanno rispettando i tempi previsti e la qualità raggiunta al momento è eccellente. Sono soddisfatto perché la cooperazione con i team locali etiopi funziona al meglio».
Come mai è andato a lavorare in Etiopia?
«Sono membro della direzione dello studio di ingegneria WaltGalmarini di Zurigo che, nel 2007, su iniziativa di Carlo Galmarini ha deciso di fondare l’Afro-European Engineers (AEE) ad Addis Abeba. Si tratta di uno studio nella capitale etiope, gestito interamente a livello locale, con il quale c’è un’ottima collaborazione».
In cosa esattamente consiste il suo lavoro nella costruzione dell’Ambasciata svizzera in Etiopia?
«Sono il responsabile strutturale del progetto della nuova ambasciata ad Addis Abeba. C’è da premettere che si tratta di un progetto molto affascinante sviluppato dallo studio OLBH di Zurigo, nel quale la struttura risulta anche essere l’architettura, cosa che non capita spesso. La struttura a telaio è composta da pilastri in acciaio e solette a cassettoni in calcestruzzo. Si tratta di tre unità (la residenza, la cancelleria e l’edificio multiuso) sviluppate su due o tre piani e collegate fra loro tramite due grandi piattaforme che creano gli spazi esterni sopraelevati».
Come descriverebbe il progetto degli archetti OLBH di Zurigo?
«Riprendendo la descrizione di Florian Hartmann direi che il progetto riesce a creare, con semplici mezzi architettonici, un complesso spaziale in cui la casa, la topografia e il giardino sono indissolubilmente intrecciati in un unico insieme. Il risultato è un luogo dall’atmosfera intensa, sviluppato in modo sottile a partire dalle condizioni locali e allo stesso tempo discretamente fedele ai valori svizzeri. La nuova Ambasciata svizzera ad Addis Abeba sarà più che una sede di rappresentanza classica, un luogo luminoso, suggestivo e ottimistico di incontro e scambio».
Quali particolarità del cantiere ha scoperto sul campo?
«L’impresa Varnero, responsabile della costruzione, è di origine italiana. Dopo i primi lavori in Eritrea negli anni Venti, si spostò in Etiopia dove oggi, giunta alla terza generazione, continua la sua attività. Io, spesso, in cantiere parlo in italiano dato che diversi dipendenti hanno frequentato la Scuola Italiana di Addis Abeba nella quale gli studenti possono anche conseguire il diploma di geometra. Tanti vocaboli usati in cantiere sono in italiano, ad esempio "cavalletto"».
Come si è confrontato nell’ambito del suo lavoro con le maestranze del luogo?
«Da straniero in un Paese nuovo ho cercato di mantenere un basso profilo e ho preferito ascoltare più che parlare, anche per capire come funzionano le cose in Etiopia. Ho espresso la mia opinione con grande rispetto e cautela perché le osservazioni vengono percepite in modo diverso. Comunque sono rimasto impressionato dalla professionalità e dalla volontà di creare una struttura di qualità con grandissimo impegno perché un simile progetto, sia a livello architettonico sia ingegneristico, non esiste ad Addis Abeba. L’impresa di costruzione ha dovuto fare un lavoro di preparazione impressionante».
In un mondo dominato dalle archistar in cui il ruolo prezioso dell’ingegnere passa sottotraccia, quale è stata la sua massima soddisfazione?
«Trovo stupendo il progetto architettonico della nuova Ambasciata. Per una volta ci troviamo di fronte a un progetto in cui la struttura coincide con l’architettura e di conseguenza il nostro lavoro sarà sotto gli occhi di tutti».
Quali altri cantieri ha seguito all’estero?
«Con lo studio di ingegneria WaltGalmarini lavoriamo principalmente in Svizzera, ma ho avuto la fortuna di partecipare ad alcuni interessanti progetti all’estero, in Italia, in Bhutan e, da anni, in Etiopia. In Bhutan abbiamo fornito consulenza per la parte ingegneristica della ricostruzione del ponte di Punakha e dello Dzong di Wangdue Phodrang, che era andato bruciato. In quest’ultimo complesso mi sono occupato di fare misurazioni di dinamica della torre».
Che cosa l’ha sorpresa di più dell’Etiopia?
«Quando sono stato per la prima volta, nel 2019, ad Addis Abeba mentre giravo per la città Dawit, il direttore dello studio partner, mi chiese se conoscevo il signor Alfred Ilg e io non avevo la minima idea di chi fosse. L’ingegnere svizzero, vissuto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento ad Addis Abeba, ha avuto grande importanza in Etiopia soprattutto per lo sviluppo infrastrutturale e le relazioni con l’Europa. La sua figura mi ha affascinato moltissimo e la gente lo vede tuttora come un eroe».
Perché vale la pena di riscoprire la figura di Alfred Ilg?
«Fu scelto e comunque designato dall’imperatore Menelik II che decise di fondare Addis Abeba nel 1886 e aveva bisogno di un valido consigliere tecnico. Alfred Ilg, che aveva studiato al Politecnico di Zurigo, si era messo a disposizione e si trasferì in Etiopia dove si era occupato di tantissime cose, come la linea ferroviaria tra Addis Abeba e Gibuti e lo sviluppo delle poste. L’ingegnere svizzero ha mantenuto sempre degli ottimi contatti con l’Europa pur agendo nel nome dell’imperatore Menelik II che lo nominò anche ministro in Abissinia, così a quel tempo si chiamava l’Etiopia. Al Museo di Addis Abeba c’è uno spazio dedicato al signor Ilg. La cosa mi ha fatto molto piacere».
Quali mete d’arte ha scelto di raggiungere ad Addis Abeba?
«Essendo appassionato d’arte e soprattutto di pittura colgo sempre l’occasione quando mi trovo all’estero per lavoro o vacanza di andare a visitare gallerie d’arte piuttosto che artisti. La scena etiope contemporanea è in grande fermento e Addis Abeba offre molte opportunità. Seguo molto Simreth, una giovane pittrice di Bishoftu che non rimarrà solo una promessa. I nomi e cognomi etiopi sono complessi e spesso degli artisti mi ricordo a malapena il diminutivo. Non manco mai di fare un giro alla galleria Entoto, tra le più importanti di Addis Abeba. Il direttore mi ha indirizzato verso giovani talenti di grande interesse. Sono un collezionista profano che segue molto il suo istinto e non i vezzi del mercato».
Come è Addis Abeba?
«È una città enorme, in continuo divenire, in cui non è facile muoversi. Per chi ha voglia di scoprire i suoi lati nascosti ci sono molte cose da fare. Io ho la fortuna di avere sviluppato delle splendide amicizie locali, che mi facilitano parecchio. Mi è capitato di partecipare a serate di musica live per esempio, soprattutto di jazz e afrojazz. Bisogna un po’ entrare nel giro dei giovani che si danno un gran da fare per creare iniziative di valore».
Ha conosciuto realtà interessanti fra i giovani di Addis Abeba?
«Il concetto di start-up non è ancora molto evoluto in Etiopia, ma ci sono dei giovani che hanno intrapreso iniziative lungimiranti. Ad esempio conosco Elsa ed Eyerus, due sorelle che hanno fondato una start-up ad Addis Abeba di nome Sabegn per creare prodotti in pelle, accessori e calzature in modo sostenibile. Nel loro laboratorio lavorano solo donne, salariate in modo equo. C’è l’idea di creare un business sostenibile in una struttura ben organizzata, che ho avuto modo di visitare più volte».
Che cosa desidera fare ancora in Etiopia?
«Visitare il Paese, che è immenso, soprattutto nella zona nord che oggi purtroppo si trova in una situazione politica molto complessa. Addis Abeba è un po’ una bolla e un’isola felice in cui la gente vuole lavorare e fare le proprie cose senza essere disturbata. Mi piacerebbe andare oltre la metropoli e magari scoprire i tesori archeologici di questa culla dell’umanità. In Etiopia infatti fu ritrovata la mitica Lucy, il primo frammento di ominide».
