Delitto di Muralto, l'accusa insiste: fu un assassinio
Assassinio o omicidio colposo? Strangolamento al culmine di una lite tra fidanzati o incidente letale per una pratica erotica estrema come l’asfissia finita tragicamente? Come nel giudizio di primo grado, il processo d’appello nei confronti dell’autore del delitto nella camera 501 dell’hotel La Palma au Lac di Muralto, il 9 aprile del 2019, si gioca sulle tesi contrapposte di pubblica accusa e difesa. Il 33.enne tedesco, che dalla Corte delle Criminali presieduta da Muro Ermani fu condannato a 18 anni di reclusione per l’omicidio intenzionale della 22.enne britannica, sua partner da un paio di mesi, rischia di vedersi aumentare la pena se la giudice Giovanna Roggero Will e la Corte da lei presieduta sposasse la tesi della procuratrice Petra Canonica Alexakis che, anche nel primo atto d’accusa e compiutamente nella requisitoria di ieri, ha ipotizzato per l’uomo l’assassinio. «Non è un banale omicida, ma è proprio un assassino. Ha ucciso, strangolandola, la sua giovane, bella e ricca compagna al culmine di una lite. Il movente? La vendetta: lei aveva deciso di lasciarlo, perché aveva capito che quell’uomo, conosciuto due mesi prima in Thailandia, era un bugiardo patentato, nullafacente e che viveva sulle sue spalle». Poi c’è l’aggravante economica del delitto, il furto della carta di debito della donna che si scoprì casualmente quattro mesi dopo i fatti: «Le ha sottratto la carta di debito con oltre 20.000 franchi nel conto dopo averla uccisa e nascondendola nell’ascensore dell’albergo per recuperarla in un secondo momento. Quindi ha inscenato un rapporto sessuale estremo, ma quella notte, come hanno confermato i riscontri scientifici, non ci fu sesso tra i due, tantomeno estremo».
La vendetta come movente
Un movente vendicativo, dunque, collegato all’egoismo e alla freddezza palesata dall’accusato anche durante gli interrogatori e i numerosi verbali, secondo la procuratrice, che si avvale anche della perizia psichiatrica del dottor Carlo Calanchini, riconfermata in un recente supplemento di analisi: «L’imputato ha un comportamento narcisistico, infantile nell’apparire prestante e un bisogno irrefrenabile di essere al centro dell’attenzione». E quando la sua giovane compagna, che in sostanza lo manteneva da quando s’erano conosciuti, ha capito che lei era un bluff e ha minacciato di escluderlo dalla sua vita, l’ha strangolata in un impulso d’ira strangolandola per poi cercare la scappatoia del gioco erotico finito male per salvarsi la pelle», ha aggiunto Canonica Alexakis nella sua requisitoria.
«Sempre gentile con le donne»
Di tutt’altro tenore l’arringa di Luisa Polli e Yasar Ravi, difensori dell’imputato. L’avvocato Polli s’è concentrata nella personalità del 33.enne, in particolare nei rapporti con le precedenti fidanzate: «Nessuna l’ha mai definito un violento, non ha mai picchiato una donna. Certo, disordinato nella sua vita, sempre indebitato, anche truffatore seriale, in costante fuga dai suoi numerosi problemi, soprattutto di natura economica, ma sempre gentile e disponibile con le donne», ha detto. «Eppoi una volta tanto non è fuggito dalle sue responsabilità: quando s’è accorto che la compagna non respirava ha tentato di rianimarla, s’è precipitato alla reception a chiedere aiuto, era disperato». Ravi, dal canto suo, ha contestato i fatti e le risultanze tecnico-scentifiche espresse nell’atto d’accusa e anche il movente: «Non c’è una prova oggettiva che quella notte la coppia non abbia avuto dei rapporti sessuali e che la morte non sia avvenuta per asfissia provocata da un gioco erotico. In quella camera c’erano tracce biologiche dappertutto. E poi che necessità aveva il mio assistito di uccidere la donna che lo amava, con la quale progettava di stabilirsi in Svizzera e che lo sosteneva economicamente? E poi quei 20.000 franchi della carta di debito: sapeva benissimo che dopo la morte della sua compagna le banche le avrebbero bloccato i conti», ha sostenuto Ravi. Chiedendo in conclusione di arringa di non prendere nemmeno in cosiderazione l’assassinio, ma nemmeno il reato di omicidio intenzionale per il quale il suo assistito è stato condannato. «Certo, ha provocato la morte della sua compagna, ma non voleva di certo ucciderla. Chiedo a questa Corte di condannarlo per omicidio colposo». La sentenza è attesa tra un mese.