Scienza 

Diagnosi al femminile

A livello accademico si è fatta strada l’idea di una medicina di genere, che tenga conto delle differenze biologiche, ma non solo, tra i pazienti - Antonella Santuccione Chadha: «Questo nuovo approccio, più personalizzato, è il futuro»
© KEYSTONE/Gaetan Bally
Francesco Pellegrinelli
01.02.2023 06:00

«I libri di medicina andrebbero riscritti al femminile, da scienziate e ricercatrici donne, perché fin qui, i libri di testo sono stati scritti tutti al maschile, da medici maschi». Antonella Santuccione Chadha è patologa e neuroscienziata esperta di malattie della mente e del cervello. Nel 2019 è stata nominata donna più influente della Svizzera dalla rivista Women in business, dopo aver fondato, nel 2017, l’associazione Women’s Brain Project. «Cinque anni fa siamo stati i primi a dire che le donne sono più predisposte a sviluppare alcune malattie (come l’Alzheimer, la depressione e l’emicrania) e che hanno anche bisogno di diagnosi e terapie specifiche».

Anche a livello accademico

Oggi, qualcosa si sta muovendo. A livello accademico si è fatta strada l’idea di «una medicina di genere», ossia di una medicina che tenga conto delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. A inizio settimana, l’Università di Zurigo ha comunicato che nel 2024 verrà creata una nuova cattedra in medicina di genere. Una prima nazionale con cui si vuole mettere l’accento sulle donne nella ricerca medica. «Il femminismo non c’entra nulla», aggiunge la nostra interlocutrice. «L’associazione Women’s Brain Project riunisce un gruppo di esperti, che lavora con pazienti e operatori sanitari. Siamo convinti che si debba implementare il genere nello studio della medicina. Non vogliamo fare un discorso politico, sociale o di appartenenza. Sono i dati che parlano».

I dati parlano chiaro

Cosa dicono, allora, questi dati? In soldoni, che le donne si ammalano, reagiscono ai farmaci e guariscono in maniera diversa rispetto agli uomini. Di qui, appunto, la necessità di una medicina di genere. Un’esigenza messa in evidenza anche da una crescente mole di dati clinici che indicano l’esistenza di differenze piuttosto importanti nell’insorgenza, nella progressione e nella manifestazione delle malattie comuni a uomini e donne. «Tutte le malattie si manifestano in modo differente tra maschio e femmina. Purtroppo, questa differenza non è mai stata analizzata in maniera attenta. Basti considerare che il genere su cui si concentra la sperimentazione farmacologica, spesso, è quello maschile. Idem per gli studi sugli animali che vengono condotti principalmente su esemplari maschi».

Un esempio? Il coronavirus

Eppure, tra maschio e femmina, ribadisce Santuccione Chadha, ci sono differenze importanti. «Pensiamo al coronavirus. La nostra associazione Women’s Brain Project ha spesso evidenziato il fatto che le donne morivano di meno, che i maschi avevano complicazioni maggiori e che i bambini tendenzialmente erano risparmiati da infezioni gravi». D’altro canto, aggiunge Santuccione Chadha, le donne hanno pagato, sul proprio corpo, il prezzo di un vaccino che non è stato caratterizzato sul genere femminile. «Sulle donne, gli effetti collaterali del vaccino sono stati maggiori». Nonostante lo studio clinico sugli effetti collaterali del vaccino sia stato in assoluto il più esteso, questo non ha tenuto debitamente in conto della distinzione di genere: «I dati stratificati per sesso e genere del resto non sono mai stati pubblicati», chiosa la nostra interlocutrice, e «non sono mai stati effettuati aggiustamenti delle dosi per maschio o femmina».

Ma il discorso di Santuccione Chadha si spinge anche oltre. «Se guardiamo alla casistica degli studi clinici approvati dalla Food and Drug Administration (l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ndr) ci accorgiamo che la maggioranza delle persone prese in considerazione sono di etnia caucasica, ossia soggetti di carnagione bianca, di origine europea. La popolazione asiatica e quella afrodiscendente, spesso e volentieri, sono entrambe sottorappresentate. Eppure noi sappiamo che la reazione ai farmaci differisce tra maschio e femmina, tra bambini e adulti, così come tra etnie».

Verso la medicina di precisione

Ora serve un cambiamento culturale per recuperare il ritardo accumulato, dice Santuccione. «Inizialmente una parte della comunità accademica e scientifica manifestava un po’ di reticenza di fronte a questa nuova impostazione. Oggi, invece, ci applaude e vuole lavorare con noi».

Ma come mai - chiediamo - in passato si è fatto così poco? «Semplicemente non si è prestata sufficiente attenzione perché non si sapeva. Negli anni Ottanta, le donne sono state escluse da alcuni studi clinici a causa degli effetti collaterali provocati da alcuni farmaci. Poi, semplicemente, si è preferito proseguire in questo modo».

Oggi, però, si apre un nuovo corso. Secondo Santuccione Chadha, la nuova medicina di genere aprirà le porte a una medicina di precisione, «un nuovo approccio medico scientifico che si basa sulle caratteristiche del paziente individuo». Non più quindi un unico approccio medico per tutti, ma un approccio personalizzato. «La digitalizzazione, per questo trattamento su misura, sarà fondamentale». Questo, nella convinzione che la medicina è una scienza che evolve e che continuerà a crescere grazie alle nuove tecnologie. «Credo fortemente che la medicina di precisione e la medicina di genere si baseranno su dispositivi che misurano la risposta terapeutica all’efficacia del farmaco. Questa è la strada. Questo è il futuro».

Lo spunto nasce dalla creazione, presso l’Università di Zurigo, di una nuova cattedra di medicina di genere. Si tratta a tutti gli effetti di una prima in Svizzera per questa disciplina. Quattro promettenti candidate hanno già presentato le loro ricerche in un simposio pubblico, rileva l’Università di Zurigo. La cattedra, la cui esistenza è stata resa finanziariamente possibile grazie al significativo investimento di diverse fondazioni, dovrebbe essere occupata entro l’inizio del 2024. L’attenzione al tema è presente anche all’USI. Basti pensare che, per gli studenti del terzo anno della Facoltà di scienze biomediche, è già in essere un modulo sulla medicina di genere tenuto dalla dottoressa Susanna Grego. E poi all’ultimo Dies, l’USI ha offerto il dottorato honoris causa a Roxana Mehran, professoressa presso il Mount Sinai Hospital di New York, anche proprio per «essersi fatta portavoce a livello della comunità internazionale delle tematiche legate alle pari opportunità e alla medicina di genere».