«È un assassino senza scrupoli: va condannato al carcere a vita»

Tre colpi di pistola sparati dal basso verso l’alto, tutti alla stessa altezza. Tre colpi che hanno raggiunto il bersaglio segnando in modo indelebile la vita di tre adolescenti, già orfani di madre, lasciandoli anche senza padre. Tre colpi che sono il tragico epilogo di mesi contraddistinti da bassezze umane che raramente vengono riscontrate durante dei procedimenti penali. Tre colpi che per il 44.enne del Locarnese, reo di aver ucciso il suo rivale in amore, devono valere la pena della carcerazione a vita. Questa la richiesta di pena formulata dal procuratore pubblico Roberto Ruggeri al termine della lunga requisitoria pronunciata durante il secondo giorno del processo per il delitto di Aurigeno. Delitto consumatosi l’11 maggio 2023 e costato la vita all’allora custode del Centro scolastico della Bassa Vallemaggia. Per il 33.enne kosovaro che procurò la pistola al «killer» il pp Ruggeri ha proposto una pena di 10 anni di detenzione, comprensiva anche degli altri reati dei quali deve rispondere. Per la donna, anche lei di origini kosovare, che fece da intermediaria tra i due, il rappresentante della pubblica accusa ha ritenuto adeguata una condanna a 7 anni di prigione. Ambedue hanno avuto un ruolo essenziale affinché l’odioso piano criminale del 44.enne potesse realizzarsi. Alle richieste di pena formulate dal pp Ruggeri si è associata l’avvocata Giorgia Maffei, patrocinatrice dei familiari della vittima, che ha chiesto complessivi 250.000 franchi di risarcimento per torto morale da versare ai tre figli dell’allora custode del Centro scolastico, 10.000 per la sua compagna (ex moglie del «killer»), 50.000 per sua madre e 40.000 per sua sorella. Questo nella consapevolezza che nessuna somma potrà mai lenire il dolore sofferto da tutte le persone toccate dai tragici eventi dell’11 maggio 2023.
Egoismo primitivo e crasso
Il delitto commesso quasi esattamente due anni fa, ha sottolineato il pp Ruggeri, è stato pianificato nei minimi dettagli con coerenza, determinazione e lucidità assoluta. Con i tre colpi esplosi verso il suo rivale in amore ha dato prova di egoismo primitivo e crasso. «Altro che confusione e cervello in tilt: l’imputato non ha lasciato nulla al caso dopo che il 9 aprile precedente aveva deciso che il suo rivale doveva morire». Quel giorno vi era infatti stato un fitto scambio di messaggi tra il 44.enne e la vittima che si accusavano vicendevolmente di vivere grazie a terzi: il custode della vedovanza della sua defunta moglie, l’imputato della rendita derivante dalla sua malattia. Rendita che quel maledetto 11 maggio gli venne comunicato che non avrebbe più percepito. E anche di questo il 44.enne riteneva colpevole il suo rivale in amore: era lui, pensava, che lo aveva denunciato all’assicurazione. La classica goccia che fece traboccare il vaso: il piano per uccidere il suo rivale non poteva più essere rimandato. L’allora 41.enne doveva essere eliminato fisicamente e la donna che si era legata a lui sentimentalmente, ormai di fatto ex moglie del «killer», doveva soffrire per la sua morte. Recupera la pistola acquistata qualche tempo prima dal 33.enne kosovaro grazie all’intermediazione della donna che lavorava alle sue dipendenze nel negozio di Locarno, e parte in direzione dei Ronchini di Aurigeno, dove porta a compimento il suo sanguinoso piano.
Elevato rischio di recidiva
Nella commisurazione della pena, il pp Ruggeri ha tenuto in considerazione anche le conclusioni della perizia psichiatrica alla quale è stato sottoposto lo sparatore. Conclusioni che fanno stato di un alto pericolo di recidiva, ovvero del rischio che il 44.enne possa compiere atti simili a quelli di due anni fa ai Ronchini di Aurigeno. Pertanto il perito psichiatrico ha proposto per il «killer» un trattamento stazionario in una struttura chiusa.
Durante la mattina il procuratore pubblico Pablo Fäh aveva passato in rassegna i capi d’imputazione a carico del 33.enne kosovaro che esulano dal delitto. Una miriade di reati tra i quali spiccano quelli legati alla vicenda dell’ottenimento di permessi di soggiorno falsi a vantaggio di suoi connazionali ottenuti attraverso la corruzione di un funzionario dell’amministrazione cantonale. Reati, questi, ammessi dall’uomo che ha invece negato gran parte degli altri (tra cui furti, minacce) contenuti nell’atto d’accusa.
Domani la parola passerà ai difensori dei tre imputati.