Fra spesa in Italia e padroncini, la riapertura unisce e divide

«Vado a fare la spesa». Durante la fase più acuta e complicata dell’emergenza, era una delle poche attività possibili. Una sorta di esercizio, anche. Per ricordarci com’era il mondo prima della COVID-19. Già, ma quel mondo per alcuni ticinesi era fatto altresì di turismo alimentare oltre confine. Con tutte le polemiche del caso. Il lockdown e la chiusura delle frontiere hanno cambiato le abitudini. Con il ripristino della libera circolazione con gli Stati Schengen, una realtà da domani, lunedì, tornerà anche questa fetta di normalità e di quel naturale passaggio nei due sensi lungo la frontiera. Di più, se dal 3 giugno la spesa in Italia era oggetto di sanzioni, «il turismo degli acquisti ora può riprendere» spiega Donatella Del Vecchio, portavoce dell’Amministrazione federale delle dogane. Come si comporteranno i ticinesi ora che è nuovamente data la libertà di scegliere? La misura del fenomeno si potrà tastare da oggi. Ma le regole pre pandemia restano: «Superata la franchigia, va da sé, bisogna dichiarare quanto acquistato» sottolinea Del Vecchio.
Tutti i valichi aperti
La riapertura riguarda tutti i valichi con l’Italia, nessuno escluso. Le famose misure di canalizzazione erano state messe in atto per controllare che le persone dirette in Svizzera potessero entrare secondo le restrizioni imposte dal governo. Dal momento che il Consiglio federale ha abrogato queste restrizioni, ogni punto di entrata è stato riattivato. Non mancheranno i controlli. Non solo per impedire il contrabbando e la criminalità transfrontaliera, ma anche per le verifiche usuali.
Poche multe dal 3 giugno
L’Italia, come noto, con una mossa unilaterale aveva aperto i suoi confini il 3 giugno. Ovvero: i residenti in Svizzera durante questo lasso di tempo potevano varcare la frontiera, ma rientrare con la spesa era vietato, pena una sanzione amministrativa di 100 franchi. Del Vecchio, al riguardo, va indietro di qualche casella e torna al lockdown: durante il periodo più duro dell’emergenza, la tendenza era quella di non superare il confine con l’Italia. Almeno in Ticino. «Anche perché, dall’altra parte, le autorità italiane erano presenti alla frontiera e non lasciavano entrare» dice. Dopo l’apertura del 3 giugno, per contro, le sanzioni sono state poche, se non pochissime. «Una manciata al giorno».
Apparentemente, dunque, i ticinesi si sono comportati bene rispettando i dettami delle autorità. Sicuramente, molto ha fatto la situazione epidemiologica in Italia. «Poi, è evidente, il furbetto di turno c’è stato» precisa la portavoce delle dogane. «Ma c’era pure nel periodo pre COVID-19».
L’appello rivolto a Berna
Bene, ma cosa comporta per l’Amministrazione federale delle dogane la riapertura? Quali i problemi legati al ritorno degli italiani in Svizzera senza limitazioni? «Il fatto che gli italiani possano tornare nel nostro Paese non è affatto un problema» chiarisce Del Vecchio. «Con questa riapertura, ritorniamo ad un periodo per noi usuale».
Una situazione che, prima della pandemia, permetteva ai ticinesi di recarsi in Italia per il cosiddetto turismo dello shopping. E viceversa. Anche questa, nel bene e nel male, era una faccia della normalità. Una faccia che interroga, proprio pensando al ritorno di una più ampia mobilità. Sul «Mattino», il presidente del Consiglio di Stato Norman Gobbi chiama in causa Berna. Oltre alla forte diminuzione della criminalità, durante la chiusura delle frontiere sono calati «padroncini e lavoratori in nero. È l’effetto del controllo accresciuto». Un controllo che, adesso, non potrà più esserci. Tant’è che Gobbi, in futuro, auspica un ripensamento a livello federale. «Le orecchie di Berna devono riuscire a sentire questa importante segnalazione».