Confine

«Gli svizzeri? Spariti, ma hanno dimenticato qui le gomme»

Storie curiose a cavallo dei due lati della frontiera: la testimonianza di un venditore di pneumatici del Varesotto che per il coronavirus si è visto dimezzata l'attività e che racconta la sua esperienza nel periodo del lockdown
© CdT/A.C.
Andrea Colandrea
16.06.2020 15:57

Con la riapertura a pieno regime delle dogane italo-svizzere decretata lunedì 15 giugno dall'autorità federale in linea con i governi europei, dal microcosmo delle zone di frontiera vengono lentamente alla luce storie di lockdown ancora sopite, proprio come sopita è rimasta per quattro lunghi mesi - schiacciata dall'emergenza COVID-19 - quell'economia di frontiera che le rispettive comunità mirano ora a rianimare il più rapidamente possibile su entrambi i lati del confine nel vicendevole interesse.

Giovanni Pilò, gommista di Marchirolo, ha da anni un'affezionata clientela svizzera, «non solo ticinese, ma anche grigionese, lucernese e proveniente da altri Cantoni ancora» tiene a precisare tra un cambio gomme e l'altro, ora che il suo business sta «poco a poco e con fatica riprendendo ritmo». La fase 3 iniziata con i crismi dell'ufficialità lunedì segna una data importante anche dalla parte italiana della fascia di confine; anche se, per una ragione o per l'altra, è ancora un po' difficile da decifrare e, soprattutto, presenta considerevoli differenze di settore in settore.

Chi non ce l'ha fatta

La visione un po' romantica che con l'attenuazione del coronavirus (parlare di fine emergenza pare ancora azzardo) tutto possa tornare come prima, è in effetti un'astrazione dalla realtà. C'è chi, in primis nella ristorazione, è rimasto fermo sul campo. Non ha ancora riaperto, magari cerca qualcuno che rilevi la propria attività. Oppure si confronta con i timori, ancora presenti, di un contagio dal virus e di conseguenza con un calo della clientela e tiene ancora le serrande abbassate. È l'altra faccia della medaglia. C'è anche, certo, chi non ce l'ha fatta, sommerso dai debiti.

Pneumatici dimenticati

Giovanni Pilò non si è però fermato, neppure quando i motori della sua attività di ricambio pneumatici sono rimasti fermi a causa della COVID e la crisi ha iniziato a mordere. "Un periodo buio, soprattutto perché tutti i miei clienti d'oltre confine, in particolare i ticinesi, sono spariti". Ma c'è dell'altro. «Parecchi svizzeri non sono più venuti a ritirare le gomme che avevano acquistato da me e che come ogni anno avevano lasciato in deposito per il cambio stagionale». Durante il periodo di chiusura delle dogane - ancora prima che queste venissero allentate - una parte di questi clienti ha acquistato le proprie gomme estive, sostituendo quelle invernali montate sulla propria automobile in garage ticinesi, dove comunque i prezzi dei rifornitori sono da anni ormai diventati più concorrenziali rispetto al passato. E le gomme già usate rimaste in deposito in Italia? «Numerosi se le sono fatte portare in Svizzera da parenti o amici», alimentando un singolare movimento da una parte e dall'altra del confine (ma nel rispetto del consentito) a seconda del luogo della loro residenza.

La curva pandemica

Con l'evolvere del quadro pandemico diventato il vero «termometro» della porosità del confine, prosegue Pilò, «altri clienti ancora, per timore di una nuova ondata del coronavirus che alcuni esperti italiani hanno ventilato a partire da ottobre, non hanno più lasciato in deposito le loro gomme e gli acquisti di quelle nuove li hanno fatti direttamente in Svizzera. Per noi una notevole perdita». Un'inversione di tendenza dell'attività commerciale nei mesi a venire sembra improbabile, conclude Pilò, «almeno non quest'anno». Altre categorie professionali hanno simili timori soprattutto in considerazione degli aiuti di Stato promessi, ma mai pervenuti. Ma chi opera sul fronte può già rallegrarsi che «gli svizzeri sono finalmente tornati da noi, anche se ci vorrà tempo per lavorare ai ritmi di una volta».

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