«I due assistenti di cura non maltrattarono gli anziani»
Non colpevoli. I due (ex) assistenti di cura attivi nella casa per anziani di Balerna non hanno maltrattato gli ospiti. È quanto sancito dalla Corte di appello di revisione penale la quale – presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will –, con sentenza del 17 maggio, ha prosciolto gli imputati da tutte le imputazioni. Di più: ai due dipendenti – una 36.enne (difesa dall’avvocato Alfio Decristophoris) e un 43.enne (patrocinato da Verena Fontana) entrambi del Mendrisiotto – otterranno un indennizzo per il torto morale subito.
Nelle 20 pagine della sentenza vengono ripercorsi i fatti per i quali i due imputati vennero – in primo grado – condannati dalla pretura penale: 20 aliquote giornaliere da 80 franchi sospese per un periodo di due anni (oltre a una multa) per la 36.enne; 10 aliquote da 130 franchi, sospese anch’esse per due anni (e una multa) per il 43.enne. Entrambi colpevoli di ripetuta coazione, tentata e consumata. Come detto, però, la CARP ha ribaltato la sentenza di primo grado. Due proscioglimenti che si aggiungono a quello di un infermiere assolto dalla Corte di appello e di revisione penale (sentenza confermata anche dal Tribunale federale nell’aprile del 2020).
I fatti
I fatti risalgono al 2013 e al 2014. Nel primo caso i due assistenti di cura avrebbero tentato di costringere un’ospite della struttura a mangiare. Come? Dicendole ad alta voce e in modo autoritario, quindi agitandola e spaventandola: «Mangia se no paghi la multa di 500 franchi». Nel secondo caso, invece – tra settembre e ottobre 2014 – l’assistente 36.enne avrebbe, con la violenza, costretto un ospite che si stava alzando a stare seduto, prendendolo per le spalle e per le braccia e spingendolo violentemente sulla carrozzina, provocando in lui agitazione e alterandolo.
Tra segnalazioni e dichiarazioni
Il tutto era arrivato sulla scrivania della procuratrice pubblica Valentina Tuoni a seguito della segnalazione al Ministero pubblico da parte di una collega di lavoro dei due assistenti, la quale lamentava diversi atti di prevaricazione nei confronti degli ospiti della casa per anziani. Durante l’inchiesta, il Ministero pubblico aveva inoltre raccolto deposizioni di altri collaboratori. Nella sentenza della CARP si legge, però, che almeno a una deposizione è stato dato «un credito eccessivo». Particolare prudenza nella valutazioni delle dichiarazioni raccolte dagli inquirenti fra il personale dell’istituto è imposta anche dal fatto che «il clima di collaborazione tra alcuni degli operatori della casa per anziani – si legge nel dispositivo – non era dei più sereni, con la conseguenza che la valutazione delle dichiarazioni delle persone coinvolte non può prescindere dal considerare questa non idilliaca tela di fondo».
La traduzione infedele
Per la CARP, inoltre, sia la procuratrice pubblica che il pretore – riferendosi all’episodio dell’uomo fatto sedere con forza sulla sedia – sono andati oltre le dichiarazioni del teste. La parola «forza» è stata infatti tradotta in «violenza» e dunque per la Corte si è trattato di una «traduzione infedele». I sinonimi di forza, si cita nella sentenza, sono energia, robustezza, tempra, vigore, mentre quelli di violenza sono: brutalità, durezza, veemenza, prepotenza.
Non fu coazione
Per la Corte, dunque, il comportamento degli assistenti non configura il reato di coazione. Per quel concerne l’uomo fatto sedere sulla carrozzina con forza, è stato ravvisato che «per impedire all’ospite (ipovedente, con importanti limiti cognitivi e motori) di alzarsi ed evitare, così, il rischio di una caduta, l’assistente di cura ha dovuto applicare una certa forza (intesa come vigore, energia). Ma la cosa – ravvisano i giudici – era obbligata, visto che l’ospite non intendeva ragioni».
Anche per l’episodio concernente la donna invitata a mangiare altrimenti sarebbe stata multata, la CARP ha sancito l’assoluzione: «Detto che, in questo caso, lo scopo era lecito (far mangiare l’ospite che rifiutava regolarmente il cibo tanto da essere arrivata a pesare soltanto 30 chilogrammi)», il reato di coazione sarebbe potuto esistere soltanto se fosse stato comprovato che il mezzo utilizzato fosse sproporzionato. L’assistente di cura 43.enne «altro non ha fatto se non utilizzare un’esortazione in sé paragonabile a quelle frasi che, a volte, i genitori utilizzano per convincere i piccoli figli recalcitranti a comportarsi bene. Viste le limitazioni cognitive dell’anziana ospite – si legge nella sentenza – per indurla a mangiare, l’assistente di cura ha cercato di ridurre la questione all’osso, con l’utilizzo di argomenti semplici ed elementari». Il mezzo scelto, insomma, «è tutto fuorché sproporzionato o abusivo».
«Un lavoro che amavano»
I due assistenti di cura, oltre ad essere stati assolti, otterranno anche un risarcimento per torto morale. «Le conseguenze del procedimento descritte dai due imputati assolti – si motiva – hanno certamente comportato, non soltanto i normali disagi connessi a qualsiasi procedimento penale, ma vere e proprie sofferenze avuto riguardo, in particolare, all’eco mediatica e alla stigmatizzazione sociale che quell’esposizione ha comportato per loro». Inoltre, entrambi hanno dovuto obbligatoriamente abbandonare il proprio lavoro «che amavano» e, infine, ha contribuito anche il fatto che abbiano dovute attendere la loro assoluzione per più di 5 anni.

