Processo

Il «castello di menzogne» del (forse) principe d’Etiopia

Alla sbarra colui che dice di essere l’erede dell’ultimo imperatore del Paese africano - Sarebbe autore di un raggiro da 12 milioni di franchi nei confronti di tre imprenditori, di cui uno noto del Mendrisiotto - Chiesti 7 anni di reclusione
©CdT/Gabriele Putzu
Lidia Travaini
28.09.2022 19:09

È una storia degna di una serie televisiva quella approdata oggi in aula penale a Lugano, di fronte a una Corte delle assise criminali di Mendrisio presieduta da Amos Pagnamenta. Alla sbarra un sedicente principe etiope al centro di un raggiro da oltre 12 milioni di franchi ai danni di tre ticinesi, tra cui un noto imprenditore del Mendrisiotto.

Il 66.enne, che sostiene di essere e si comporta come se fosse un discendente legittimo dell’ultimo imperatore di Etiopia, deve rispondere di truffa per mestiere e falsità in documenti ripetuta, reati presumibilmente commessi tra il 2007 e il 2017. Nei suoi confronti la procuratrice pubblica Chiara Borelli ha chiesto una pena detentiva di 7 anni, più l’espulsione dalla Svizzera.

"Sono nato principe"

Riassumere la vicenda non è semplice. Il forse principe, che è cittadino italiano, ha costruito quello che in aula è stato definito un castello di menzogne, un palazzo di cui è indubbiamente il re. Sulle sue origini nobili non c’è nessuna certezza, perché tra le molteplici carte dell’inchiesta, di cui 200 documenti rivelatisi falsi, nessuna accerta né la sua nobiltà, né chi siano con certezza i suoi genitori. «Sono nato principe signor presidente – ha detto in aula -. Uno nasce e muore con quel titolo, come diceva Totò. Anche se in Etiopia la monarchia non c’è più».

Ma è probabilmente proprio grazie a questa sua capacità di argomentare, di costruire relazioni con personalità politiche e non solo e di sapersi «vendere» che l’uomo è riuscito a farsi versare oltre 12 milioni di franchi da persone che non possono certo essere definite novellini dell’imprenditoria.

Al centro della vicenda vecchi bond di cui è in possesso, titoli emessi dalla Germania tra la Prima e la Seconda guerra mondiale ed ereditati dal nonno. Titoli dal valore di centinaia di miliardi di dollari che una volta riscossi avrebbero permesso all’uomo di incassare circa il 10% del loro valore: decine di miliardi quindi. A chi negli anni gli ha versato soldi il forse principe ha quindi anche promesso una fetta di questa ricca torta. Ma ha anche millantato investimenti per la ricostruzione e rinascita del Paese etiope, parlato di beneficenza in Africa, così come chiesto aiuti economici per riuscire a sbloccare una volta per tutte la riscossione dei bond. «C’era sempre una scusa per chiedere altri soldi e per cui i bond restavano bloccati, nel corso degli anni si sono susseguite a centinaia», ha detto Pagnamenta in aula.

L’imputato si professa innocente e si è dilungato nello spiegare l’accaduto. Talvolta divagando, talvolta avvalendosi della facoltà di non rispondere.

«Castello di menzogne», ha detto più volte Borelli, edificato «con destrezza e ammaliando» le persone che gli stavano attorno, costruendo rapporti di fiducia decennali (i raggiri sarebbero iniziati nel 1997, ma molti oggi sono prescritti). «È un manipolatore rassicurante e convincente, che ha messo le persone che gli stavano attorno nelle condizioni di non parlare e di mantenere segreti», ha aggiunto Borelli, facendo riferimento alla richiesta del 66.enne di mantenere confidenziale la storia dei bond, richiesta ufficializzata con la sottoscrizioni di dichiarazioni di riservatezza. «La storia doveva restare segreta – ha spiegato l’imputato – perché esistono altri 200.000 titoli trafugati dalle truppe russe che da tanti anni Putin chiede di incassare e la Germania non voleva che si creasse un precedente rendendo pubblica la mia riscossione». Per l’accusa questo non è però che uno dei tanti esempi della manipolazione messa in atto dall’uomo, che in realtà ha usato i soldi ricevuti per cene, borsette e vacanze costose, ha sottolineato l’accusa.

I legami con il Mendrisiotto

L’uomo è stato arrestato in Lussemburgo e poi estradato in Svizzera. Da anni la vicenda è strettamente legata a Chiasso. Lì ha sede la fiduciaria di uno dei presunti truffati (e accusatore privato), che era anche fiduciario «di fiducia» e custode dei titoli dell’imputato, con cui aveva un legame di lavoro e anche di amicizia da oltre 20 anni. Nella fiduciaria chiassese c’erano dei locali dedicati alla pratica del sedicente principe (tra cui un bunker con i documenti), nonché dei dipendenti che si occupavano solo di lui.

Le tre vittime, che restano presunte almeno fino alla comunicazione della sentenza, prevista domani, chiedono di essere risarcite (con somme simili a quanto versato all’uomo). L’arringa difensiva è prevista domani mattina, la comunicazione della sentenza entro sera.

In questo articolo:
Correlati