Il demografo: «Nessuna sorpresa dal calo delle nascite in Ticino»

Giancarlo Blangiardo, già professore ordinario di Demografia all’Università di Milano Bicocca, è stato presidente dell’ISTAT per quattro anni, dal 2019 al 2023 (nominato dal primo Governo di Giuseppe Conte) ed è attualmente sindaco di Meina, un piccolo comune sulla sponda piemontese del Lago Maggiore. Per molti anni si è occupato, a livello scientifico, del cosiddetto «inverno demografico», tema al quale ha dedicato decine di studi e di pubblicazioni.
«I dati diffusi dall’USTAT - dice Blangiardo al Corriere del Ticino - non sono purtroppo una sorpresa. In Ticino, così come in Italia, le tendenze sono simili, e segnano un profondo cambiamento. Stiamo assistendo a una trasformazione non occasionale. Un trend, le cui motivazioni sono, a mio avviso, anche pratiche».
Le quattro C
Oggi, spiega l’ex presidente dell’ISTAT, «è sempre più difficile fare molti figli e garantire loro le risorse e l’attenzione necessarie. È cambiato molto anche il calendario della formazione della famiglia. La vita di coppia, solida o con obiettivi di solidità, è tuttora valida e diffusa, ma si tende a iniziarla più avanti. Se una donna comincia ad avere una vita di coppia stabile, sposata o no, oltre i trent’anni, accorcia sensibilmente il periodo di vita fertile. In 10 anni ci sta il primogenito, forse il secondo. Ma non si va oltre».
Nel corso del suo lungo lavoro accademico, a proposito dei fattori che incidono sulla natalità sempre più bassa, Blangiardo ha individuato «le 4 C: costi, cura, conciliazione e contesto culturale».
I figli, sostiene il demografo piemontese, costano. «Costano soldi e tempo. E devono essere curati, seguiti con costanza. Ma le mamme, oggi, hanno meno tempo, perché lavorano. Non riescono a conciliare facilmente maternità e professione. Anche a causa di un contesto tutt’altro che favorevole. Temo che la società non abbia ancora compreso sino in fondo che volere i figli riguarda tutti, che si tratta di un salto culturale necessario».
La cosa che più dovrebbe preoccupare, insiste Blangiardo, è «l’aspetto strutturale di questo cambiamento, e quanto esso possa incidere sulla futura popolazione. Le poche bambine di qualche anno fa sono le poche mamme di oggi, ma le ancor meno bambine di oggi saranno le pochissime mamme di domani».
Problemi comuni
Il benessere diffuso ha cambiato radicalmente gli stili di vita, e lo ha fatto dappertutto, in maniera molto simile.
«Tra i nostri territori c’è di mezzo un confine - riflette ancora il professor Blangiardo - ma, in generale, facciamo i conti con problemi che ci accomunano. Il punto è che i temi in discussione in Lombardia, Piemonte o Canton Ticino a proposito della natalità sono gli stessi che troviamo se andiamo in Calabria o in Sicilia. Ormai non ci sono più differenze sostanziali: sui comportamenti demografici, c’è stato un forte allineamento, una omogeneizzazione».
Invertire questa situazione non è semplice. Tutt’altro. E, secondo Blangiardo, significa prima di tutto «intervenire sulle 4 C di cui parlavo prima. Dimentichiamo l’idea geniale: bisogna far interagire tutti i fattori e tutti gli attori in campo. Governo, enti locali, privato sociale, imprese dovrebbero capire quanto siano indispensabili le azioni di welfare che permettano alle donne lavoratrici di fare i figli che desiderano. Le giovani donne vorrebbero avere almeno due figli, ma poi rinunciano o si fermano a uno solo. Il loro modello ideale di vita, nel tempo, si trasforma o si perde. Bisognerebbe, quindi, valorizzare la permanenza di questo modello, creando le condizioni affinché non si sgretoli».