Il Gran Consiglio presto al voto sull’obbligo di segnalare abusi

Don Rolando Leo, ex cappellano del Collegio Papio di Ascona, è stato condannato giovedì scorso a 18 mesi sospesi con la condizionale per due anni per aver commesso atti sessuali con fanciulli e atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere. Una sentenza contro la quale la procuratrice pubblica Valentina Tuoni intende ricorrere in Appello (un primo passo della procedura è già stato compiuto, come appurato dal Corriere del Ticino) e che non ha lasciato indifferente il mondo politico, tanto che nel giro di qualche mese il Parlamento potrebbe già trovarsi a discutere l’introduzione, nella Legge sulla Chiesa cattolica, dell’obbligo di segnalazione da parte dell’autorità ecclesiastica nel caso di reati da parte di membri del clero.
Lettera aperta dell’MpS
In una lettera aperta indirizzata alla Commissione Costituzione e leggi i deputati in Gran Consiglio dell’MpS Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini hanno chiesto ai colleghi di accelerare la discussione sulla loro iniziativa parlamentare - depositata nel settembre 2024 - volta a introdurre nella Legge sulla Chiesa cattolica l’obbligo di segnalazione da parte dell’autorità ecclesiastica nel caso di reati da parte di membri del clero. Un obbligo che anche il Consiglio di Stato - nel messaggio pubblicato lo scorso 30 aprile - aveva definito «indispensabile», aderendo sostanzialmente alla proposta dell’MpS. Ora, come ci conferma la presidente della Commissione, Daria Lepori (PS), l’intenzione della Costituzione e leggi è di muoversi con rapidità sul dossier: «È un tema che trovo molto importante e ho già avuto modo di rispondere all’MpS, spiegando loro che sarà mia premura dare al dossier la velocità necessaria affinché sia trattato in tempi brevi da parte del Gran Consiglio». Al momento, aggiunge Lepori, «non abbiamo ancora affrontato la proposta nel merito, ma sono fiduciosa che avremo presto una discussione costruttiva».


Prima bozza in settembre
Al rapporto commissionale favorevole all’introduzione dell’obbligo di denuncia sta attualmente lavorando la deputata dell’UDC Lara Filippini che, contattata dal CdT, conferma che il tema sarà presto affrontato in commissione. «L’intenzione è di presentare ai colleghi della Commissione la bozza di rapporto alla ripresa dei lavori, nel corso di settembre. Ho inoltre intenzione di chiedere loro di diventare anch’essi relatori del rapporto». E questo, aggiunge Filippini, «per farci vedere uniti e compatti su un tema così importante». Anche l’amministratore apostolico Alain de Raemy si è detto favorevole all’obbligo di denuncia. Tutto, dunque, lascia presagire che la proposta sarà accolta dal Legislativo cantonale nel giro di pochi mesi.
Il futuro in mano al Vaticano
Intanto il presbitero, che è al centro di un’indagine canonica e di una serie di valutazioni circa la sua prossima residenza, non potrà più dedicarsi ai giovanissimi dal momento che la Corte, oltre a condannarlo al risarcimento delle vittime, ha anche decretato nei suoi confronti l’interdizione a vita di svolgere qualsiasi attività che implichi un contatto regolare con minori. Come riportato nell’edizione di sabato, la decisione sul futuro del 56.enne spetta al Dicastero per la dottrina della fede, in Vaticano, al quale la Diocesi di Lugano trasmetterà la sentenza che ha richiesto alle autorità giudiziarie ticinesi. Intervistato dal portale catt.ch, l’amministratore apostolico Alain de Raemy ha puntualizzato che «ci sarà una procedura canonica, che può implicare o meno un processo canonico, a seconda di quanto Roma deciderà. Noi informiamo Roma, mandiamo tutta la documentazione, poi sarà Roma a decidere». Una procedura che richiede anche molto tempo e il cui esito non è diffuso al pubblico. E che, fino alla sua conclusione, impone la misura cautelare di proibizione del ministero sacerdotale da parte della chiesa nei confronti di don Leo.
Un vaso di Pandora
Alcuni episodi emersi nel corso dell’inchiesta si sono svolti anche all’interno dell’istituto stesso. Secondo quanto appreso dal Corriere del Ticino, tuttavia, nessuno lo ha mai saputo. La situazione è emersa soltanto in seguito all’arresto e sia il rettore sia il personale non sono mai stati a conoscenza di quanto stava accadendo nella struttura locarnese. È stato proprio l’arresto a far emergere pubblicamente ciò che fino a quel momento era rimasto celato, aprendo un vero e proprio vaso di Pandora. Il Papio, da noi contattato, non ha comunque rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale.