Il momento

Il grido d’allarme delle aziende: «Non ce la facciamo»

Dalla Regazzi SA al piccolo fornaio, diverse imprese sono confrontate all’esplosione dei prezzi di fornitura di elettricità e gas – Preoccupazione anche per la forza del franco che potrebbe spingere alcune aziende a delocalizzare la propria attività
Francesco Pellegrinelli
07.09.2022 06:00

«Non abbiamo mai cambiato fornitore e non ci siamo mai rivolti al mercato libero». Eppure, Fabio Ragazzi in questi giorni dovrà valutare come muoversi, «perché qualcosa dovremo fare». Il nodo da sciogliere? Il nuovo contratto di fornitura di energia elettrica per la Regazzi SA. «A marzo è arrivata una prima proposta di cinque volte superiore al prezzo corrente. Ho quindi deciso di attendere perché, già allora, mi sembrava una follia». A fine agosto, poi, è arrivata la stangata: «Mi hanno aggiornato l’offerta per il 2023, e questa volta il prezzo era addirittura di 16 volte maggiore. Quando ho visto la cifra, ho creduto che mancasse una virgola o che ci fosse uno zero di troppo. Nel 2022 abbiamo pagato 60 mila franchi di costi di energia. Oggi, con l’offerta sottopostami, nel 2023 dovremmo sborsare 925 mila franchi. Una follia. Come azienda, semplicemente, non possiamo pagare tanto».

Sintomatico il caso della Stahl Gerlafingen (SO) - una delle principali aziende svizzere produttrici di acciaio - che consuma una quantità di elettricità pari a quella di 70 mila famiglie. Per il solo mese di ottobre, l’azienda prevede una bolletta di 45 milioni. «Una cifra superiore ai costi annuali», ha precisato negli scorsi giorni il direttore dello stabilimento che, temendo un calo della produzione, ha chiesto e ottenuto il lavoro ridotto come misura preventiva. Una base giuridica chiara, tuttavia, ancora manca, tanto che il Consiglio di Stato ticinese nei prossimi giorni solleciterà sul tema il Consiglio federale.

Chi deve rinnovare

«Le difficoltà legate al caro energia sono diffuse anche tra i piccoli artigiani», chiosa dal canto suo il direttore di AITI, Stefano Modenini. Un esempio? «Parliamo del semplice fornaio che fino a ieri pagava 20 mila franchi di elettricità e che in futuro si troverà nella condizione di sborsarne quattro volte tanto e, più in generale, di tutte le aziende che si trovano nella condizione di rinnovare i contratti di fornitura con le nuove tariffe energetiche». Come USAM, stiamo esaminando il tema, gli fa eco Regazzi: «Stiamo valutando possibili interventi sia a livello politico sia verso il Consiglio federale». Del resto, aggiunge Modenini, «il panettiere non può mica ribaltare i costi di produzione sul cliente finale. Non può far pagare una pagnotta sei franchi».

Il cambio

Costi dell’energia a parte, a preoccupare il mondo economico, oggi più che mai, è anche la forza del franco. «Alcune grandi aziende stanno valutando di delocalizzare parte della produzione», aggiunge Modenini. «Le imprese negli anni sono state capaci di adattarsi al peggioramento del rapporto di cambio, in particolare fra franco svizzero ed euro. Ricordo che già una decina di anni fa si arrivò alla parità. Ma oggi ci troviamo in una situazione nuova, con un euro che tende stabilmente a restare sotto la parità. Se si dovesse scendere stabilmente sotto lo 0,90 o arrivare allo 0,80 - prosegue Modenini - il differenziale dei costi a carico delle aziende fra Svizzera ed Europa potrebbe farsi insostenibile». In quel caso, trattenere tutta la produzione in Svizzera non sarebbe probabilmente più possibile: «Perderemmo sicuramente anche posti di lavoro».

«Questa volta è diverso»

Eppure, facciamo notare, altre volte in passato le associazioni padronali hanno ventilato lo spettro della delocalizzazione. «Questa volta è diverso. Non siamo mai arrivati a un cambio franco-euro di questo livello. Ripeto: in alcune aziende le discussioni sono già avviate in maniera approfondita. Non dico che manca la decisione della proprietà ma siamo vicini». Strategicamente occorre reagire con anticipo alle mutate condizioni congiunturali: «Le aziende, soprattutto quelle più grandi, devono anticipare gli scenari di due-tre anni», spiega Modenini che aggiunge: «Oggi si discute quale situazione potrà esserci nel 2024 o nel 2025. Se l’azienda arriva alla conclusione che il rapporto tra franco ed euro resterà insufficiente e magari già possiede sedi produttive in zona euro, allora la tendenza a spostare attività e posti di lavoro si accentuerà sensibilmente». Generalizzare comunque non sarebbe corretto, conclude Modenini, «ma un gruppo di aziende ha già avviato le valutazioni strategiche. Purtroppo - conclude - attualmente assistiamo a una somma di fattori negativi che si ripercuote sull’andamento delle imprese».