Imprenditore italo-svizzero rinviato a giudizio in Albania

Qualche settimana fa un intermediario finanziario italo-svizzero attivo per molti anni nel Luganese è stato rinviato a giudizio in Albania dalla Procura speciale contro la corruzione e la criminalità organizzata. È accusato di aver fatto parte di un gruppo di persone che ha tentato di riciclare oltre 18 milioni di euro del costruttore italiano Francesco Zummo - ritenuto vicino a Vito Ciancimino ai tempi del cosiddetto «sacco di Palermo» - al fine di nascondere questo «tesoretto» alla giustizia italiana, che negli anni scorsi ha sequestrato a Zummo averi per 150 milioni circa. Le accuse a suo carico - e al resto del gruppo - sono quelle di riciclaggio dei proventi di un reato o di un’attività criminale, partecipazione a un gruppo criminale e commissione di reati da parte di un gruppo criminale. Oltre a Zummo e all’intermediario, sono sospettati di far parte del gruppo anche un commercialista di Zummo nonché un petroliere albanese noto per le sue avventure nel mondo del calcio italiano e due persone a lui vicine, peraltro già condannate in prima istanza a pene superiori ai sei anni. A meno di sorprese, il processo a carico dell’intermediario, di Zummo, del commercialista e del petroliere dovrebbe avvenire in forma contumaciale.
In tutto questo l’intermediario italo-svizzero è accusato di aver avuto un ruolo nello spostamento del denaro di Zummo dal Liechtenstein alla Svizzera all’Albania, dove è tuttora sotto sequestro e da cui avrebbe dovuto ripartire verso altri paesi per ripulirlo. Dalle intercettazioni emergono i contatti fra l’intermediario e il commercialista di Zummo, nonché con il petroliere albanese.
Un’inchiesta tira l’altra
Stando a quanto riportato a suo tempo da Repubblica, l’inchiesta è nata per caso dall’intercettazione di telefonate proprio dell’intermediario, che il Gruppo investigativo criminalità organizzata della Guardia di Finanza (GICO) di Napoli stava già seguendo nel quadro di un’altra indagine che riguardava diverse persone residenti in Ticino che si sarebbero attivate per movimentare ingenti quantità di cocaina dal Sudamerica e «erba» dall’Africa. Inchiesta di cui si sono un po’ perse le tracce da suo emergere ma che riguardava un ex maresciallo dei carabinieri trasferitosi a Lugano, un imprenditore attivo in ambito aviatorio con alle spalle altri procedimenti penali sia in Ticino che in Italia e un altro imprenditore italo-svizzero allora attivo a Lugano.
Anche questa inchiesta era nata per caso, in seguito all’arresto dell’ultimo imprenditore citato, in quanto accusato prima e condannato poi per aver fatto arrivare al porto di Salerno attraverso la sua società di Lugano quattordici tonnellate della metanfetamina captagon dalla Siria: per questo dovrà scontare dieci anni di carcere.
C’è un precedente
Questa non è peraltro la prima volta che i soldi di Zummo costringono un esponente della piazza finanziaria luganese a subire un procedimento penale. Ormai un decennio fa un direttore di banca venne indagato in Italia perché sospettato di averlo aiutato a riciclare 13 milioni. Le ultime notizie riferivano di un’assoluzione in Appello.