La prima volta

«La caccia è già parte di me»

Rachele Corti ha 18 anni e domani vivrà la sua prima battuta da protagonista: ci spiega come si è avvicinata a questa passione e come ha ottenuto l’abilitazione
Giona Carcano
Paolo Galli
30.08.2019 06:00

Rachele va a caccia da ormai dodici anni. La prima volta, ne aveva sei. Sì, Rachele Corti ha diciotto anni, ma da sempre, in sostanza, partecipa alle battute con il padre. Ha appena passato gli esami e ottenuto il diploma. Domani insomma potrà sparare. «Se sono pronta? Bella domanda. Non so come reagirò, non penso che ci si possa definire pronti. So che ho dimestichezza con il mio fucile, ma so anche che sarò parecchio emozionata. Faccio fatica ad addormentarmi da diverse notti». La caccia è anche fatta di attese, d’altronde. Il faut faire avec, per forza. Il corso stesso è un lungo e lento avvicinamento alla caccia. Lo è stato. «Due anni di formazione. Ci si può iscrivere una volta compiuti i sedici anni. Poi bisogna frequentare diverse giornate e serate obbligatorie, facendo in modo di organizzarsi con lo studio e con il lavoro». Rachele lavora in una casa per anziani, lavora a turni: non è stato semplice. Ma la passione l’ha aiutata.

Più che una passione, la caccia fa parte del suo modo di essere ormai. «Ti entra dentro, al punto che non puoi più stare senza. Ho l’impressione che la caccia crei la persona che sei. Tante esperienze possono cambiare il proprio modo di vedere le cose, la vita, il proprio modo di pensare: ecco, la caccia fa parte della mia persona, del mio carattere. Mio papà è alla trentaduesima patente, quest’anno, ma ancora si emoziona e vive l’attesa con grande intensità. Suo padre, Davide, avvocato, le ha insegnato tutto, della caccia, al di là del corso, della teoria e della pratica, una questione di intesa, una costruzione. «Ricorderò sempre la mia prima volta. Fu dietro casa. Vidi la preda, un maschio di capriolo, e lo segnalai a mio papà. Mi tappai le orecchie e lui sparò. Ero molto emozionata. Una volta a casa, lì da mezz’oretta, scoppiai a piangere disperata. Dissi a mio padre che era un mostro. Fu bruttissimo. Poi man mano, continuando a seguire mio papà, maturai altre idee, vivendo la caccia con più naturalezza. Se ho provato altri rimorsi? Sempre, sia io che mio papà: di fronte all’animale provi sempre un momento di compassione». Sono d’altronde animali bellissimi. Abbatterli equivale allora a sottrarre bellezza al bosco, alla natura.

Rachele ha un tatuaggio sul suo braccio destro, una cerva. La caccia «per me è un senso di libertà, è un fattore molto naturale. Mi ha permesso di conoscere bene il territorio e gli animali stessi, e di avere un rapporto molto intimo con la natura. Tante volte, mentre aspetti l’animale che stai curando, esce un animale non cacciabile, magari una capriola con i piccoli: stai lì, non puoi prenderla, evidentemente, e osservi. La contemplazione. Si va a caccia per cacciare, d’accordo, ma non per la carne: non mi vanterei mai per la cattura di un cervo, semmai mi vanterei per la caccia che ho fatto. Tanti cacciatori preferiscono raccontare la cacciata, più che il cosiddetto trofeo».

Pare che il numero delle donne, tra i cacciatori, sia in forte crescita. Secondo qualcuno, tale tendenza potrebbe anche cambiare volto alla caccia, ingentilendola, per quanto possibile. «I ragazzi, l’ho visto anche durante il corso, tendono più a vantarsi, forse, e sono più agitati. Le ragazze sono più tranquille, più interessate alla caccia che non alla preda. Poi, chiaro, dipende dai singoli e dalle singole». Quest’anno sono state quattro le donne a ottenere l’attestato di abilitazione; trentacinque gli uomini. Rachele guarda alla giornata di domani. La vivrà con papà, ragazzo e un amico di famiglia. «Ci sveglieremo presto la mattina, uscendo a fare giorno. Aspetteremo, separati, sui sentieri, poi ci ritroveremo verso le sette e mezza, o giù di lì, e proveremo a vivere assieme qualche battuta. Abbiamo già curato un cervo, che però fa movimenti strani. Il cervo ti sente anche lontanissimo, per cui ci muoveremo sottovento». Aspettando di rompere l’attesa.