La lotta delle botteghe di paese: «In perdita, ma felici»

Antonio Di Vito inizia alla mattina alle 5.30 con i kiffer, lavora tutto il giorno tra forno e bancone - salatini, torte, gastronomia varia - e alle 20 chiude i conti che per ora sono in perdita. «Una perdita felice però» tiene a precisare il 46.enne. Da un mese ha riaperto la Bottega di Sorengo e sapeva che era una strada in salita.
«Ho investito tutti i miei risparmi e anche il secondo pilastro» racconta l'ex cuoco concedendosi una pausa mentre la figlia Isabel si prende cura dei clienti. A 11 anni sa battere il pane alla cassa e gestire il bancone: chissà, da grande potrebbe seguire le orme del padre. «Lo spero. È un lavoro duro ma dà tante soddisfazioni - dice Di Vito -. È bello fare qualcosa di proprio, che a cui la comunità riconosce un valore».
La moria di negozietti
Quando sua figlia sarà grande, però, c'è da chiedersi se le botteghe di paese esisteranno ancora, e quante saranno. La concorrenza della grande distribuzione e di internet ha decimato i piccoli alimentari negli ultimi decenni, e la moria non si arresta. Nel Luganese nel 2019 erano una cinquantina quelli censiti dall'Ente Regionale per lo Sviluppo. Oggi a una rilevazione simile, condotta sempre dall'ERSL, hanno risposto «presente» solo una quarantina di esercizi. Una decina in meno in appena sei anni.
«Si tratta di un dato approssimativo, non siamo in grado di fornire cifre esatte in quanto alcune attività a volte risultano semplicemente irraggiungibili, tuttavia appare evidente il trend in diminuzione» spiegano Valentina Anderlini e Moira Morniroli, che per conto dell'Ente si occupano anche di sostenere queste attività tramite finanziamenti ad hoc. Dietro alle serrande che si abbassano, spiegano, c'è spesso un mancato ricambio generazionale.
Serrande che si abbassano e che si rialzano
Nel caso della bottega di Sorengo, l'attività ha chiuso i battenti e riaperto due volte, dopo essere stata ceduta dagli storici proprietari (la famiglia Müller) nel 2017. Di Vito ha tentato l'avventura dopo avere lavorato per anni nella ristorazione (lui cuoco, la moglie Eva cameriera) e ammette che probabilmente senza il sostegno pubblico non ci sarebbe riuscito. Oltre a una consulenza, ha ricevuto dall'ERSL un finanziamento agevolato per il ritiro dell'inventario, da restituire dopo un anno. «Questo significa che almeno nella fase di avviamento riesco a respirare» ringrazia.
Non è l'unico. Attraverso il Fondo di Promozione Regionale del Luganese, nel corso degli anni sono stati sostenuti una decina di progetti in nove negozi, per un totale di oltre 80mila franchi. Assieme all'Ente Regionale del Mendrisiotto e Basso Ceresio e il Gruppo Svizzero per le Regioni di Montagna, l'ERLS ha promosso diverse ricerche tra i negozianti per analizzare i problemi e raccogliere suggerimenti. L'ultimo incontro si è tenuto a fine maggio.
«In questo negozio siamo cresciuti»
Il carico di lavoro, a quanto è emerso, assieme ai margini di guadagno ridotti è il principale disincentivo per le nuove generazioni. Antonio non ha paura di faticare - «nei primi giorni andavo avanti anche fino all'una di notte» confida - ma conferma che il suo mestiere richiede una dose di vocazione. «Bisogna amare il contatto con la gente, l'atmosfera di paese, e avere il piacere di tenerla viva».
La visita tra gli scaffali della bottega ne è la riprova. Donne che si fermano intere mezz'ore a parlare, a ricordare, a informarsi. Il taccuino di Antonio - carta e penna, come una volta - che si riempie di ordini per l'indomani e i giorni successivi. Dal salmone affumicato agli gnocchi, rigorosamente fatti in casa, nel retrobottega. La clientela non manca ed è felice della riapertura: «Siamo cresciuti in questo negozio» dice una mamma con bambina. Isabel intanto si è tolta il grembiule: ha ottenuto dal papà il permesso di andare in piscina, per oggi ha lavorato abbastanza. «Si è guadagnata i cinque franchi di biglietto al lido» dice Antonio con un sorriso. Un'anziana cliente alla cassa annuisce - «come una volta» - approvando.