Il fenomeno

«La mafia in Svizzera è ampiamente diffusa»

Un anno fa è stato presentato ufficialmente l’Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata - Facciamo il punto con il responsabile operativo Francesco Lepori: «Le ultime inchieste mostrano episodi preoccupanti»
©CESARE ABBATE
John Robbiani
30.05.2022 06:00

Quanto è per davvero radicata la mafia in Ticino e in Svizzera? Negli scorsi giorni il procuratore generale della Confederazione Stefan Blättler ha detto che «aprire gli occhi» rappresenta un dovere civico, perché il fenomeno è reale. Ma ancora recentemente c’è chi ha voluto gettare acqua sul fuoco. A metà maggio per esempio l’ex procuratrice capo del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia Carla del Ponte e l’avvocato Renzo Galfetti (intervenuti a una conferenza organizzata da SwissLeaders) hanno definito la criminalità organizzata in Svizzera un problema non endemico.

Rigore scientifico

Quale è dunque, al di là delle opinioni, la verità? È anche per rispondere a questa domanda che quasi esattamente un anno fa è stato presentato ufficialmente l’Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata (O-TiCO). Si tratta di una struttura che sta studiando il fenomeno con rigore scientifico. Dati - e incarti giudiziari - alla mano. La professoressa Annamaria Astrologo (responsabile accademica del centro) e il giornalista Francesco Lepori (responsabile operativo) stanno mettendo assieme tutti i pezzi di un puzzle complesso e in continua evoluzione. «Il fenomeno – spiega Lepori a questo proposito – è complesso, e se ne parla sempre solo a ondate. Manca un po’ la visione d’insieme e dunque la consapevolezza della reale portata del problema. Questo sia a livello istituzionale, sia di opinione pubblica. Ed è probabilmente stato questo lo stimolo che ha spinto alla creazione dell’Osservatorio, che intende dare continuità e profondità alla conoscenza del fenomeno».

«Episodi preoccupanti»

E allora, chiediamo, stando ai dati raccolti quanto è diffusa la mafia in Svizzera? «È ampiamente diffusa purtroppo», conferma Lepori. «E le ultime inchieste mostrano anche episodi preoccupanti». Perché si è sempre detto che nel nostro Paese la mafia c’è, ma «almeno» non spara. «Poi però si apprende - sottolinea il giornalista - che nel 2020 a Zurigo una persona vicina a una cosca aprì il fuoco contro l’auto di un ristorante concorrente».

D’altronde le ultime inchieste (per esempio Cavalli di razza o Imponimento) sembrano dimostrare che sì, la mafia da noi continua a perseguire il mimetismo sociale, ma anche alcuni dei suoi elementi in Svizzera iniziano ad agire - e non è un buon segno - in modo più palese e visibile. Svizzera e Ticino restano un rifugio per le mafie, luoghi in cui riciclare denaro e infilarsi nel tessuto economico, ma hanno anche un ruolo centrale nel commercio di droga e armi. «Non a caso - conferma Lepori - gli inquirenti federali definiscono ora la criminalità organizzata, e cito testualmente, come una minaccia considerevole per la Svizzera».

Si inizia dal rapimento Mazzotti

Ma torniamo al lavoro di O-TiCO. Una parte importante della sua attività riguarda la creazione di un archivio. Catalogare articoli, sentenze, atti d’inchieste svizzere e italiane. «Per il Ticino - spiega il giornalista - andiamo indietro addirittura di cinquant’anni, partendo dal rapimento di Cristina Mazzotti (uccisa nel 1975). Per il resto della Svizzera abbiamo ricostruito invece gli ultimi dieci anni». E i numeri, a ben guardare, sono impressionanti. «In queste sezioni i procedimenti sono 105, di cui 83 riguardano il Ticino. Coinvolte ci sono, a vario titolo, circa 500 persone». L’Osservatorio si occupa di raccogliere poi tutte le relazioni periodiche (pubblicate per esempio dal Ministro pubblico della Confederazione, dalla FedPol oppure dalle autorità italiane) e gli atti politici (nazionali e cantonali).E in più O-TiCO ha creato anche una biblioteca con saggi, libri e tesi di laurea riguardanti la mafia.

Molte collaborazioni

L’Osservatorio si colloca all’interno dell’Istituto di diritto dell’Università della Svizzera italiana (IDUSI) e ha la sua sede nel Campus Ovest di Lugano. Collabora anche con la SUPSI e l’Università degli Studi dell’Insubria. «In dicembre - spiega Lepori - si è laureato con noi il primo studente, con una tesi sul monitoraggio negli ultimi 5 anni, intitolata “Alla conquista della Svizzera”». Ma all’Osservatorio sono arrivati anche studenti dell’università di Zurigo e perfino una dottoranda di Oxford. Tra gli scopi di O-TiCO c’è anche - e forse soprattutto - la divulgazione. L’anno scorso in settembre è stato organizzato un convegno (“Tracce della criminalità organizzata in Ticino tra passato e presente”) molto seguito. E altri ne seguiranno. E si moltiplicano le collaborazioni, per esempio con la Cattolica di Milano.

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