I profughi da noi

«La mia famiglia ora è al sicuro, io torno a difendere Kiev»

A Chiasso abbiamo incontrato le persone in fuga dalla guerra – In pochi avevano voglia di parlare, ma c'è anche chi ha sentito il bisogno di raccontare la sua storia
John Robbiani
16.03.2022 20:00

Per alcuni di loro vedersi chiudere alle spalle la porta del Centro di registrazione d’asilo deve essere stato un sollievo enorme. «Siamo finalmente dentro», devono aver pensato. «E ora ci sarà qualcuno che si prenderà cura di noi». La fine di un lungo viaggio iniziato a Kiev, a Kharkiv o a Odessa e che li ha portati ad attraversare città probabilmente mai sentite nominare. Fetița in Moldavia, Bistrița in Romania, Zalakaros in Ungheria. E poi ancora Turnišče  e Domžale in Slovenia o Quarto d’Altino in Italia. E alla fine Chiasso, in Svizzera. Proprio a Chiasso abbiamo passato alcune ore incontrando e parlando con alcuni dei profughi in fuga dalla guerra in Ucraina, intenti a registrare il loro arrivo nel nostro Paese. Per molti quel gesto – la registrazione, appunto – rappresentava una semplice formalità. Perché si trovavano in Svizzera da settimane (alcuni prima ancora dello scoppio della guerra), accolti da amici o parenti. Ma per altri, appunto, l’arrivo in Ticino ha rappresentato la conclusione di un’Odissea. «Perché ha scelto di venire in Svizzera? Come mai proprio la Svizzera?», abbiamo chiesto a un di loro, che chiameremo Andriy. «Perché è il posto più sicuro. Perché temo che Putin, se non si fermerà in Ucraina, punterà anche alla Moldavia e chissà, forse perfino alla Romania e alla Germania». Andriy è stanco e preoccupato, perché le notizie che arrivano dalla sua Odessa sono allarmanti. Si parla di un possibile attacco anfibio, con le navi russe già schierate. In caso di sconfitta l’Ucraina resterebbe senza sbocchi sul mare. «Mykolaiv, la città vicina, sta resistendo. Ma se cade la prossima sarà Odessa».

50 ore per arrivare al confine
Andriy si allontana un attimo per rispondere al telefono e incontriamo una giovane coppia. Lui è italiano, lei ucraina. Abitano a Ginevra ma hanno scelto il Centro di registrazione di Chiasso. «Perché ci hanno detto che in Romandia la fila è più lunga». E anche perché arrivano dall’Italia, dove sono andati a prendere la madre di lei, in fuga da Kiev. «È rimasta fino a quando ha potuto, ma poi ha deciso di scappare. Ci ha messo 50 ore, di cui 36 filate, per arrivare al confine rumeno. Avesse tentato di passare dalla Polonia ci avrebbe messo anche di più».

Un alloggio provvisorio
Andriy nel frattempo ha agganciato e torna da noi. «Scusate, era mia moglie» ci dice, in un inglese un po’ stentato ma comprensibile, indicando una finestra del Centro di registrazione. Lei è dentro con i loro tre figli. «Le hanno detto che il Governo svizzero ci ha trovato una sistemazione per 2 o 3 giorni. Poi non ho capito dove andremo». «Vi verrà trovata una soluzione più a lungo termine», lo rassicuriamo. «Bene. In Ticino ero già stato e sono contento di essere in Svizzera. Ci sono buone scuole e si possono imparare diverse lingue. Ai miei figli farà bene». Ma Andriy non resterà. «Non posso», ci spiega. «La mia famiglia ora è al sicuro e domani arriverà anche quella del mio migliore amico, che è a Kiev a combattere. Gli ho promesso che avrei portato al sicuro anche loro. Ma poi non potrò restare. Devo fare qualcosa per il mio Paese e tornerò a difendere la capitale». Seguirà gli altri 180.000 ucraini che, come ha confermato Ylva Johansson al Parlamento europeo, hanno deciso di lasciare l’UE per tornare a combattere.

L’allarme aereo
Andriy torna a parlare della sua Odessa e di quella prima notte di guerra, quando attorno alle cinque del mattino suonarono per la prima volta gli allarmi aerei. «Non ci credevo. Non pensavo di certo che saremmo stati attaccati. Ho guardato le news e ho visto che in tutto il mondo si parlava dell’invasione. Allora ho scritto un messaggio a un amico che è nell’esercito, e mi ha risposto: "Stavolta è grossa. Su larga scala". Il giorno dopo abbiamo deciso di lasciare il paese. Mia moglie è andata al lavoro per avvertire che non si sarebbe più presentata e siamo saliti in auto, accorgendoci di non avere benzina. Abbiamo passato due ore incolonnati a un distributore: un po’ tutti avevano avuto la nostra stessa idea». Ma alla fine Andriy e la sua famiglia ce l’hanno fatta. «Poco tempo dopo aver attraversato il confine abbiamo saputo che il Governo aveva deciso di non permettere agli uomini (tra i 18 e i 60 anni, ndr) di lasciare l’Ucraina».

Ma è solo l’inizio
Guardando i volti e le espressioni delle persone in attesa di registrarsi al Centro di Chiasso stupisce la loro calma e la loro tranquillità. E stupisce vedere i bambini - così tanti bambini - correre beati e giocare attorno al piazzale. «Temo però che questo sia solo l’inizio», ci avverte un operatore della Segreteria di Stato della migrazione. Perché, appunto, molti di coloro che si sono presentati in questi giorni avevano già un alloggio in Svizzera e avevano lasciato l’Ucraina nei primi giorni del conflitto. Ma quelli che arriveranno dopo potrebbero aver  vissuto esperienze ancora più devastanti.

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