L'intervista

La rivincita di Guido Haschke, a 13 anni dall'arresto

Dopo l'assoluzione in Italia, sull'uomo d'affari di Lugano pende ancora un mandato di cattura internazionale: «La giustizia richiede pazienza»
foto Gabriele Putzu - Cdt
Davide Illarietti
16.07.2025 06:00

Guido Haschke non dimenticherà mai il blitz dei Carabinieri nella sua villetta a Porza. Il salotto orientaleggiante - dove tra mobili e ornamenti indiani spicca un gran Buddha dorato - venne «invaso» dagli inquirenti italiani, federali e cantonali il 23 aprile del 2012. «Misero la casa sottosopra» racconta il 74.enne. «Il giorno dopo avevo una troupe della televisione indiana piazzata nel vialetto qui di fronte. Fu l'inizio di un incubo».  

Oggi nel salotto si respira di nuovo un'atmosfera di pace orientale. Haschke ha l'aria serena di un monaco buddista, o di un detenuto che ha raggiunto l'atarassia (cosa che è stato): non si direbbe che sulla sua testa penda ancora un mandato di cattura internazionale, per la vicenda degli elicotteri venduti da Finmeccanica all'India nel 2010.

È l'ultimo strascico di una vicenda legale protrattasi per oltre un decennio, cavalcata dai media e poi dimenticata - come spesso capita - e che ha segnato «economicamente e umanamente» l'uomo d'affari luganese. Ancora oggi non si sente sicuro a uscire dalla Svizzera o dall'Italia.    

«Pochi anni fa mi trovavo a Varese per lavoro e sono stato fermato per alcune ore per ordine del Tribunale di Bologna» esemplifica. «Mi hanno rilasciato dopo un chiarimento, ma ecco, non è stato piacevole». 

Tra la Farera e il Bassone

Se Haschke crede nel karma - sicuramente ci crede la moglie, buddista, di origini coreane - ne ha avuto una conferma due settimane fa, con una sentenza di assoluzione del Tribunale di Appello di Brescia. La Procura che un tempo lo accusava ha chiesto l'annullamento della condanna patteggiata nel 2014. Il caso è noto: nel 2012 l'imprenditore venne arrestato in Ticino, e poi estradato in Italia, dove patteggiò una condanna per corruzione e riciclaggio. L'accusa: avere pagato una maxi-tangente in India per favorire l'acquisto (680 milioni di euro) di dodici elicotteri Augusta da parte del governo di New Delhi.

A fine giugno i giudici lombardi hanno riconosciuto l'innocenza di Haschke («il fatto non sussiste») e annullato il patteggiamento. Dopo tredici anni di peripezie - di cui due trascorsi tra Farera,  il carcere Bassone di Como e affidamento ai servizi sociali - l'uomo d'affari si dice soddisfatto ancorché amareggiato. «Alla fine, giustizia è fatta. Sapevo che sarebbe finita così, quando accettai il patteggiamento su consiglio del mio avvocato all'epoca: fu una decisione dettata da ragioni economiche, non mi vergogno a dirlo. Non potevo permettermi un lungo processo in tre giurisdizioni, italiana, svizzera e indiana». 

L'assoluzione tardiva

Haschke ha sempre sostenuto la propria innocenza. Così come gli allora vertici di Finmeccanica, Giuseppe Orsi e Bruno Spagnolini, assolti a loro volta dalla Cassazione italiana nel 2019. Le accuse si basavano sulle affermazioni di un ex dirigente di Finmeccanica, licenziato nel 2012, secondo cui Haschke avrebbe fatto da intermediario tra il colosso italiano degli armamenti e l'entourage di un generale indiano, allora a capo dell'aviazione militare. Secondo la Cassazione, che ha confermato la sentenza di secondo grado, la presunta tangente non è mai esistita. Il rapporto con Finmeccanica era quello di una «normale consulenza tecnico-amministrativa e ingegneristica» tra quest'ultima e un'azienda indiana, di proprietà di Haschke e di un altro socio ticinese. 

foto Gabriele Putzu - Cdt
foto Gabriele Putzu - Cdt

Oggi l'azienda non esiste più, e Haschke ha sfiorato la bancarotta. «Quando il mio nome è finito sui giornali ho perso d'un tratto tutti i miei clienti, in pochi mesi mi sono ritrovato a zero» racconta il 74.enne con un passato in Citibank e alla Banca Mondiale. Dopo una carriera tra Milano, Londra, Washington e Torino, passati i 60 anni Haschke si apprestava a trascorrere la pensione a Lugano, dopo l'ultimo importante affare, quando scoppiò lo scandalo.  

«D'un tratto mi sono ritrovato sotto i riflettori, e una sera di ottobre la Polizia cantonale viene a prendermi per portarmi alla Farera» ricorda il cittadino italo-americano, padre di due figli. «È stata un'esperienza orribile. Il giudice non convalidò il fermo, ma dopo qualche mese ero di nuovo in carcere in attesa dell'estradizione».   

Lezioni di economia in carcere

Due settimane in isolamento, che il 74.enne ricorda ora con dolore. «Un'ora di aria al giorno, senza nemmeno essere stato processato». Il trattamento nelle carceri italiane, al confronto, è stato «più umano». Al Bassone a Como Haschke non viene mai ammanettato, ha accesso alla biblioteca e dà lezioni di economia agli altri carcerati.

È sopravvissuto prendendola con filosofia, stoica se non proprio buddista - «non auguro il carcere a nessuno, ma penso che farebbe bene a tutti: è una scuola di vita» - e adesso che potrebbe chiedere un risarcimento allo Stato italiano (70 euro per ogni giorno di ingiusta detenzione) più che rancore prova gratitudine. «Mi hanno aiutato l'amicizia vera di tante persone, con cui devo ancora sdebitarmi. Soprattutto un amico, Giovanni, che mi ha aiutato più di un fratello. E il supporto della famiglia».

foto Gabriele Putzu - Cdt
foto Gabriele Putzu - Cdt

Di sicuro, Haschke assieme all’ex socio ticinese chiederà l’annullamento del mandato di arresto internazionale, emesso dall’India e rinnovato per tutti questi anni. «Ora ci rivolgeremo alla Corte Europea di giustizia». Un altro intermediario nell’operazione Finmeccanica, l’uomo d’affari inglese Christian Michel, è in carcere a New Delhi da sette anni: la sua detenzione è stata condannata nel 2021 dal Consiglio Onu dei diritti umani.

Il mandato di arresto ancora pendente

La libertà ritrovata di muoversi e attraversare confini è «un diritto irrinunciabile» per il 74.enne, un po’ per abitudine professionale un po’ per storia familiare - la famiglia materna fuggì in Ticino da Milano per sfuggire alle persecuzioni razziali nel 1944, a Gaggiolo «mia mamma venne accolta perché parlava schwizerdütsch» racconta - e difatti Haschke ha continuato a viaggiare anche in questi anni, nel tentativo di ricostruirsi una vita professionale. «Mi è capitato di venire identificato, una volta in Estonia venni fermato in aeroporto dalla polizia. Queste cose non mi fermano, per principio e anche per necessità». A 74 anni ha avviato un’azienda in Ticino nel campo delle biotecnologie, che «sta prendendo piede» racconta con orgoglio.

Il suo nome è ancora segnato con un’allerta rossa nei database dell’Interpol e sa che per «ripulirlo» ci vorrà del tempo. Nel frattempo però - in questo è senz’altro buddista - esercita l’arte della sopportazione. «Quando vado in un paese straniero, l’emozione è sempre un misto di gioia e qualcos’altro». Giunge le dita della mano al pollice, con il gesto della strizza. La statua di Buddha in un angolo sorride con condiscendenza. 

                

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