L’azienda in cui lavori cerca di rendere migliore la tua vita?
Cosa fa l’impresa in cui lavori per rendere migliore la tua vita? Potremmo riassumere con questa domanda il concetto di welfare aziendale, una delle parole chiave della responsabilità sociale d’impresa. Già, perché il benessere dei dipendenti (e delle loro famiglie) è sempre più al centro delle dinamiche lavorative in un mondo globalizzato, competitivo e costantemente in movimento. Per la Confederazione, la responsabilità sociale d’impresa è «un contributo delle aziende allo sviluppo sostenibile e abbraccia un’ampia varietà di tematiche di cui il management aziendale deve tenere conto. Tra queste figurano le condizioni di lavoro (compresa la protezione della salute), i diritti umani, la tutela dell’ambiente, la prevenzione della corruzione, la concorrenza leale, gli interessi dei consumatori, la fiscalità e la trasparenza». E le aziende ticinesi, quanto sono avanti quando si parla di welfare aziendale e responsabilità sociale d’impresa? Ne parliamo con Nicola Giambonini, responsabile CSR (Corporate Social Responsibility) di AITI.
Nel
2022, quali sono i temi critici quando si parla di responsabilità sociale
d’impresa?
«Gli argomenti caldi attualmente sono molti. Quelli più strettamente
legati alla sostenibilità ambientale hanno subito qualche battuta d’arresto per
via della situazione geopolitica: sembra che le priorità siano diventate altre.
Mentre dal punto di vista dell’attenzione delle imprese verso i propri
collaboratori si sta presentando una nuova emergenza, ancora nelle fasi
iniziali: si sta manifestando una significativa crisi del mercato del lavoro.
Le imprese fanno fatica a trovare profili qualificati e sta diventando
piuttosto evidente che nei prossimi anni, o addirittura mesi, ci sarà una
grande concorrenza fra le imprese per poter attirare le persone qualificate.
Questo fa sì che le imprese cominciano a comprendere che la loro attrattività è
fatta anche di prestazioni non monetarie e benefit da offrire ai dipendenti. Mi
riferisco al tema del welfare aziendale».
Per
quanto riguarda il welfare aziendale, quali sono le misure attrattive che
adottano le aziende? Ci sono esempi particolari in Ticino?
«Su tutto il territorio cantonale ci sono molti esempi di imprese che
stanno curando sia la loro immagine sia le prestazioni da offrire ai
collaboratori. Da parte nostra, con il lancio della piattaforma AITI4Welfare
(avvenuto lo scorso mese di gennaio), vogliamo fornire a tutte le imprese,
anche quelle meno strutturate e con minori risorse, la possibilità di avere una
rete di prestazioni e benefit da offrire ai lavoratori, a cui altrimenti non
avrebbero la possibilità di accedere. In questo senso, stiamo parlando di
fornitori di prestazioni che sono in grado di aiutare l’impresa a diventare più
virtuosa in diversi ambiti. Possono creare spazi lavorativi che favoriscano il
benessere delle persone, possono migliorare la sicurezza e le misure di
prevenzione per quanto riguarda la salute in azienda, e, ancora, curare in modo
speciale le prestazioni assicurative e sociali destinate ai collaboratori che
concludono la propria attività professionale. Poi c’è tutta una serie di misure
per migliorare la vita dei lavoratori, come gli aiuti per meglio conciliare le
esigenze professionali con quelle private e famigliari. Ci sono imprese che si
stanno organizzando per aiutare le persone ad avere vantaggi in termini di tempo.
Qualche esempio? La possibilità di consegnare i panni da lavare alla reception
della propria azienda piuttosto che andare in lavanderia, magari con l’auto in
mezzo al traffico. Attualmente la novità su AITI4Welfare è un servizio che
permette alle imprese di organizzare delle sessioni di igiene dentale
direttamente sul posto di lavoro».
Si
andrà sempre più verso soluzioni dinamiche legate alla stretta attualità?
Faccio il primo esempio che mi viene in mente: con la guerra in Ucraina è
aumentato il prezzo dei prodotti alimentari. Le aziende potrebbero proporre
buoni per la spesa tra i benefit, adattandosi alla situazione?
«Questa è certamente un’idea interessante: la fantasia e la creatività
sono ingredienti necessari per diventare attrattivi sul mercato e rispondere ai
bisogni in continuo mutamento. Però occorre anche cautela, l’esempio che lei ha
fatto deve essere inserito in un concetto molto preciso, perché il rischio poi
è quello di pagare i collaboratori con buoni della spesa: questo non è il
concetto di un sistema di welfare aziendale. Ci sono margini per approfondire i
diversi ambiti, ma non si deve rischiare di sostituire uno stipendio con dei
benefit».


Tra
i temi fondamentali della responsabilità sociale d’impresa c’è anche quello
delle pari opportunità di genere. In Ticino com’è la situazione?
«Su questa tematica ci sono indicazioni contrastanti. Da un lato, ci
sono dati statistici che indicano ancora grosse differenze a livello salariale.
Dall’altro, ci sono delle inchieste fatte proprio in occasione dell’entrata in
vigore dell’analisi salariale obbligatoria per tutte le imprese che hanno più
di 100 dipendenti. Queste, a partire dal primo luglio del 2021, sono tenute a
far effettuare da una società esterna un’analisi. Ecco, questo ci ha permesso
di raccogliere qualche indicazione. Ad esempio, nel settore farmaceutico si
attesta una perfetta parità salariale tra uomo e donna e, addirittura, si
riscontrano casi di predominanza dei salari femminili su quelli maschili. Ma
questa è solo una statistica: perlomeno in quel settore la parità è stata
raggiunta».
L’orario
di lavoro e la possibilità di smart working rappresentano fattori più
attrattivi per i dipendenti?
«Indubbiamente. Stiamo promuovendo un progetto che si chiama “Smart
working, istruzioni per l’uso”. Stiamo seguendo 8 imprese sul territorio che
stanno introducendo il telelavoro e le stiamo accompagnando in questa
riflessione. Lavorare da casa deve essere una situazione win-win tra azienda e
collaboratore. Non deve essere solo un passaggio in cui si fa il proprio lavoro
al domicilio al posto che in azienda. Il ripensamento deve essere più grande, a
tutti i livelli della conduzione aziendale, anche a quello della gestione delle
risorse umane. Deve esserci un cambiamento di paradigma culturale, cioè essere
in grado di valutare un lavoro sulla base di prestazioni e non di ore lavorate.
Su questo, in Ticino, siamo ancora un po’ indietro».
La
pandemia avrebbe potuto portare quel cambiamento di paradigma culturale, ma
molte aziende – e a volte pure gli stessi lavoratori – hanno scelto di non
adottare il telelavoro…
«La pandemia ha dimostrato che lo smart working si può fare. Questa è
già una cosa incredibile, visto che fino a tre anni fa sembrava impossibile.
Nel periodo pandemico è stato fatto un salto notevole per quanto riguarda gli
strumenti: magari non lavoriamo da casa, ma molte cose le facciamo in modo
diverso. Questo è un bene per il benessere delle persone e per le emissioni di
CO2. La reazione delle imprese per quello che potrebbe essere il dopo pandemia
sono ambivalenti: alcuni settori vedono nel telelavoro la soluzione di tutti i
mali, mentre altri chiedono ai lavoratori di tornare in sede».
Dopo
questo lungo periodo di crisi, tra pandemia e guerra in Ucraina, la questione
climatica tornerà a essere l’argomento principale della responsabilità sociale
d’impresa?
«Tornerà, ma partiremo da parecchio più indietro: su questo tema
stiamo facendo il percorso del gambero. Gli equilibri energetici cambieranno e
la direzione che stanno prendendo molti Paesi d’Europa fa si che ci saranno
approvvigionamenti molto meno ecologici rispetto al gas russo che arriva
attraverso un gasdotto. L’emergenza resta quella climatica, anche se credo sia
inquietante pensare che un problema di vitale importanza come quello ambientale
sia finito rapidissimamente in fondo alle priorità dei governi mondiali».

