«Lugano sfrutta solo due terzi del suo potenziale turistico»

Albergatore dell’anno per la SonntagsZeitung nel maggio 2022, il premio della European Hotel Managers Association per la sostenibilità ritirato pochi giorni fa: prestigiosi riconoscimenti quelli ottenuti da Giuseppe Rossi, direttore dello Splendide Royal di Lugano. Il suo sguardo, tuttavia, è già rivolto al futuro. Lo abbiamo incontrato per una chiacchierata a trecentosessanta gradi.
Direttore, qual è ora il suo sogno?
«Il prossimo sogno, mio e della proprietà dello Splendide, è realizzare il progetto di ampliamento che valorizzerebbe l’ala storica dell’albergo, che a Lugano è unica nel suo genere, e testimonianza di un’epoca in cui la città aveva una valenza turistica molto forte. Il concetto è creare residenze di lusso che siano connesse a un servizio alberghiero di qualità e attraggano una clientela benestante, sì, ma soprattutto desiderosa di vivere la destinazione Lugano, di scoprirla senza la fretta tipica di un certo tipo di turismo».
Rievocava la Lugano di un tempo e la sua forte identità turistica. E oggi, ce l’ha o no?
«Credo che Lugano stia sfruttando il suo potenziale turistico al sessanta, settanta percento. Farlo è diventato quasi necessario dopo la flessione che ha interessato la piazza finanziaria, e bisogna unire ancora di più le forze per far emergere le nostre eccellenze e offrire quelle esperienze che vadano oltre il semplice prenotare una camera, un ristorante o un’attrazione».
In altre parole occorre accompagnare il turista, non presentargli solo una «lista della spesa» di tutto quello che può fare sul territorio.
«Esattamente, e in questo a Lugano vedo una consapevolezza maggiore rispetto al recente passato».
Accompagnare il turista può voler dire anche assecondare il suo desiderio di visitare, partendo da Lugano, destinazioni vicine. Una altrettanto conosciuta a livello internazionale è il lago di Como. Qui però entra in gioco l’elemento della concorrenza.
«Noi l’abbiamo vissuta per anni. Credo invece che dovremmo cercare di allearci e valorizzare le nostre peculiarità, promuovendo insieme l’area geografica che ci accomuna».
Di fronte a questa prospettiva, spesso, si alza una barriera culturale. Della serie: «Dovete promuovere il Ticino, non mandare i turisti in Italia!». Come andare oltre questo?
«Dal punto di vista dei turisti, il confine nazionale non esiste. Per loro è naturale superarlo e scoprire cosa c’è dall’altra parte. Noi dobbiamo adottare questa prospettiva, creando sinergie con gli operatori delle destinazioni circostanti. Il discorso vale anche fra gli albergatori di Lugano: non bisogna pensare di essere in concorrenza, bensì fare gioco di squadra nel promuovere la destinazione».


Siamo ormai alle porte della prossima stagione calda:che segnali stanno arrivando dal mercato?
«Gli stessi dello scorso anno a livello di prenotazioni, quindi soddisfacenti».
Prima la pandemia e poi la guerra hanno rimescolato le carte anche nel settore turistico. Ci sono nuovi pubblici o tendenze che stanno emergendo da questa situazione complessa?
«Premetto che abbiamo la fortuna di avere una clientela diversificata a livello di mercati. Non dipendiamo da uno o da pochi. Oggi comunque, più che il Paese di provenienza, conta la tipologia del turista. Cosa stimola il suo viaggio. E questo è un aspetto trasversale».
A proposito di nuovi mercati, Lugano sta investendo parecchio per attrarre in città aziende e persone legate al mondo delle nuove tecnologie, ad esempio al settore delle criptovalute. È indubbiamente un’opportunità per il turismo locale, ma che peso può avere?
«Credo possa essere una direzione da seguire, andando poi ad offrire i servizi che necessita quel tipo di pubblico».
Per rendere Lugano più attrattiva sono stati fatti diversi ragionamenti anche a livello urbano, anche che con proposte forti come la creazione di un parco galleggiante sul Ceresio e di una spiaggia sul lungolago a mo’ di Croisette. Cosa ne pensa?
«Mi piacerebbe che il lago fosse più vissuto e il lungolago più animato. Una Croisette luganese? Perché no... Potrebbe essere un valore aggiunto. L’importante è che la destinazione non diventi solo stagionale, ma che sia vissuta durante tutto l’arco dell'anno».
È il famoso discorso sulla destagionalizzazione del turismo. Cosa manca a Lugano per raggiungere questo obiettivo?
«Credo che sarebbe importante estendere l’accessibilità ai servizi il più a lungo possibile. Prendiamo ad esempio la funicolare del San Salvatore, che investe nelle aperture invernali. Un discorso analogo si può fare anche in altri settori, come la Navigazione. Ci saranno meno passeggeri, d’accordo, ma intanto facciamo passare il messaggio che siamo aperti. E i turisti qui possono sempre rilassarsi, stare bene».


Una parentesi sui matrimoni. Sul Ceresio questo mercato è molto meno sviluppato rispetto al Lario, per restare sul confronto con i vicini di lago. Peccato, perché il contesto paesaggistico è altrettanto affascinante.
«Là ci sono più infrastrutture, in particolare diverse ville, i cui proprietari, confrontati magari con dei costi di gestione elevati, hanno deciso di affidare a società che organizzano eventi».
Eppure di ville belle e spaziose ce ne sono anche sul lago di Lugano. Non di rado però sono chiuse o abbandonate.
«Manca forse la sensibilità di metterle a disposizione. Nel nostro hotel, comunque, di matrimoni ne facciamo sempre di più, ospitando persone che arrivano dall’estero e si fermano per più giorni. Prima della pandemia, fra l’altro, questi eventi si concentravano in primavera, mentre ora sono distribuiti su tutto l’arco dell’anno. Un altro ambito interessante è quello dei seminari, anche piccoli, per i quali le aziende decidono di trascorrere qualche giorno all’esterno».
Un’ultima considerazione sul futuro. Le preoccupa la possibilità che l’economia mondiale abbia solo cominciato a pagare il prezzo della pandemia e della guerra, e che il conto finale si rivelerà molto più alto, con effetti anche sul turismo? Oppure crede che viaggiare sia un bisogno a cui le persone faranno di tutto per non rinunciare?
«Fino a qualche anno fa le avrei risposto di essere in dubbio. Oggi credo che sia davvero un bisogno profondo delle persone, una necessità di scoprire nuovi luoghi e arricchirsi culturalmente. La Svizzera è percepita come un luogo sicuro, oltre che di pregio paesaggistico. E credo che questa consapevolezza, negli ultimi anni, si sia rafforzata. In particolare, se devo fare un esempio, da parte degli ospiti provenienti dagli Stati Uniti d’America, che sono in aumento».