L’analisi

Malattia mentale, terrorismo o un mix dei due?

L’accoltellamento di Lugano porta alla luce anche da noi un dilemma noto nelle città colpite dai lupi solitari - Esperti spiegano i motivi che portano gli estremisti a reclutare persone deboli: «La religione spesso c’entra poco»
John Robbiani
27.11.2020 06:00

Il gesto di una donna con gravi problemi psichici o un atto terroristico nel senso tradizionale del termine? È questa la domanda che un po’ tutti si pongono riflettendo su quanto accaduto martedì alla Manor di Lugano. Ed è in realtà una domanda su cui sono stati scritti volumi, trattati e migliaia e migliaia di pagine. Una risposta definitiva ancora non sembra esserci, anche perché è difficile dare una risposta definitiva se di mezzo c’è l’ombra dell’ISIS, che con concetti come «guerra perenne» e «guerra senza fronte» ha rimesso in discussione il concetto stesso di terrorismo tradizionale. Si può partire da un dato: stando all’Europol almeno il 20% dei jihadisti soffre di disturbi mentali. Corrado De Rosa, psichiatra e autore del libro Nella mente di un jihadista giudica «un modo per certi versi autoconsolatorio definire sbrigativamente queste persone dei pazzi; una sorta di rinuncia a priori a indagare sulle motivazioni che spingono a comportamenti apparentemente incomprensibili». Per i fatti di Lugano le autorità federali restano dell’idea che la pista del terrorismo di stampo islamico sia da seguire, anche perché, come spiegato dalla direttrice della Fedpol Nicoletta della Valle, una cosa non esclude necessariamente l’altra. Perché è vero che la 28.enne di Vezia che ha ferito con un coltello due donne già nel 2017 soffriva di disturbi tali da richiederne il ricovero (e a quanto sembra, di recente, ha sospeso un trattamento farmacologico: cosa che potrebbe aver generato scompensi tali da spingerla a compiere il folle gesto), ma è anche vero che la donna, proprio nel 2017, era stata fermata al confine turco - e rispedita in Svizzera - mentre tentava di entrare nei territorio occupati dall’ISIS per raggiungere uno jihadista conosciuto online e di cui si era innamorata. «Per me è chiaro - ci ha spiegato il dottor Carlo Calanchini - che si è trattato di un atto terroristico. Poi bisogna capire se dietro a questo atto ci sia una persona che aveva piena capacità o se era disturbata, e se il disturbo può essere in relazione con l’atto compiuto. Perché si può essere disturbati ma coscienti delle proprie azioni». «Se è vero che aveva sospeso l’assunzione di farmaci - conferma comunque lo psichiatra - è probabile che questo abbia influito sull’accaduto». La patologia insomma potrebbe anche essere riaffiorata. E si torna al punto di partenza. «Ho l’impressione - spiega Calanchini - che nei casi di estremizzazione alcuni fattori patologici ci siano sempre. Perché sono persone che si fanno influenzare facilmente dai reclutatori, molto abili in rete, che su personalità semplici hanno un notevole ascendente».

Il ruolo della fede

Non deve dunque stupire il fatto che una persona che commette atti del genere soffra anche di disturbi. È proprio questo tipo di personalità la «preda» preferita dei reclutatori dei gruppi estremisti. Sono queste persone che si tenta poi di trasformare in «lupi solitari». Ma il discorso si complica quando si parla di quanto la religione abbia per davvero un ruolo in questi atti. «Bisogna capire quanto è fede nella religione e quanto invece è fiducia verso certi personaggi (i reclutatori, n.d.r.)». Il dottor Antonio Luce, che in Italia collabora con le forze dell’ordine e l’antiterrorismo, è anche più netto: un cambio così repentino di religione, spesso, è sintomo di problemi psicologici pregressi. L’esempio riguarda l’attentatore di Nizza, che si sarebbe radicalizzato in soli 14 giorni. «È un caso - spiega Calanchini - per cui purtroppo non siamo stati in grado di fare un’autopsia clinica. A me sembra che più che una questione religiosa sia qualcosa di più simile a quanto accaduto al pilota dell’aereo della Germanwings (che fece volontariamente cadere il suo velivolo, n.d.r.), che ha fanatizzato il suo disagio interiore fino al punto da narcisisticamente ritenersi in diritto di portare alla morte altre 150 persone». L’estremismo usato come scusa, dunque. Sembra però essere un gatto che si morde la coda, perché anche se in molti casi la religione non sembra essere il vero motivo che porta un attentatore a uccidere, il suo gesto è funzionale - utile - alla «guerra perenne» propagandata dall’ISIS. Che è alla ricerca proprio di quello. In questo senso fa riflettere un commento pubblicato ieri dalla NZZ, secondo cui parlare di terrorismo di fronte alle azioni dei lupi solitari alla fine fa proprio il gioco degli estremisti.

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