Mario Timbal: «La pressione è alta, ma l’azienda è unita»

La RSI ha comunicato la seconda fase del piano biennale, che prevede entro il 2026 un risparmio di 7 milioni di franchi e la soppressione di 37 posti di lavoro a tempo pieno. Il provvedimento segue quello annunciato lo scorso anno, che aveva portato a risparmi per 5 milioni di franchi e al taglio di 15 posti di lavoro. Con Mario Timbal, direttore della RSI, discutiamo del momento delicato attraversato dall’azienda e, più in generale, dal servizio pubblico.
In
quale contesto si inserisce questa seconda fase di ridimensionamento del
personale?
«Da
inizio 2025 stiamo riducendo i nostri budget a causa del riconoscimento
parziale del rincaro. Ma ci stiamo anche preparando alla discesa in due tappe
del canone stabilita dal Consiglio federale tramite ordinanza, una fase che si
concluderà nel 2029 quando la soglia sarà di 300 franchi. Sullo sfondo, poi,
c’è la futura votazione sull’iniziativa “200 franchi bastano!”. Viviamo dunque
un momento cruciale per l’azienda, in cui tutti questi elementi confluiscono,
come in un imbuto».
Quali
saranno i settori coinvolti dai tagli?
«Tutti.
Uno dei principi che abbiamo fissato per questo piano di risparmio è che non ci
fossero tagli lineari grazie a progetti di trasformazione, senza toccare
l’offerta in modo sostanziale. Tutto questo cercando di avere il minor impatto
sociale ed economico possibile. Ci siamo mossi pensando a cambiamenti di
palinsesto, a ottimizzare i modelli di produzione e delle funzioni di supporto.
Inoltre, siamo stati aiutati dalla dismissione dello stabile di Besso, che
porta a un risparmio non indifferente. Riassumendo, abbiamo voluto un approccio
trasversale, praticamente senza toccare l’offerta, ma riuscendo anche a
rinnovarla».


Al
di là dei risparmi, in che modo state riorganizzando la struttura e la
programmazione?
«Stiamo
preparando l’azienda e la sua offerta a essere giudicate. L’obiettivo è quindi
disporre di programmi che abbiano una rilevanza ancora maggiore non solo
dal profilo radiofonico e televisivo, ma anche digitale. È chiaro che in questa
fase l’azienda è sottoposta a un forte stress. Da un lato stiamo spingendo un
grosso cambiamento interno: penso all’abbandono dello stabile di Besso in
autunno, con il trasferimento della radio a Comano, o ai nuovi palinsesti
di settembre. Dall’altro, ci sono le pressioni di una campagna di voto che
cominciamo ad avvertire e il piano di risparmio dovuto alla discesa del canone,
che comporta la riduzione in due anni (2024 e 2025, ndr) di 60 posti di
lavoro».
Come
viene recepito dai collaboratori questo momento molto delicato per il servizio
pubblico?
«Quello
in cui operiamo attualmente è un clima complesso e la pressione è alta.
Soprattutto per un’azienda mediatica come la nostra, che produce qualcosa di
immateriale. Ma siamo pronti per affrontare questo momento: sapevamo che
sarebbe arrivato e di conseguenza ci siamo preparati. In un certo senso la RSI
ha purtroppo l’abitudine a operare sotto pressione, perché la stessa è forte da
parecchio tempo, almeno dalla votazione sulla “No Billag” del 2018. Abbiamo
oggi tutte le carte per mostrare che il servizio pubblico, nella Svizzera
italiana, ha un’importanza fondamentale per la vita politica, sociale e
culturale. Ma siamo anche pronti a mostrare che tanti stereotipi sulla RSI,
quel gigante che non sa cambiare, ridurre o innovare, devono essere rivisti».
Insomma,
la RSI ha scelto di non subire passivamente la campagna di voto.
«Ci
sarebbero tutti gli elementi per rimanere sotto traccia fino al voto. Abbiamo
invece deciso di avere un ruolo attivo. E questo per rilanciare l’azienda in un
momento di difficoltà, dimostrando che sì, cambiare e migliorare è possibile.
Ad esempio, per l’estate abbiamo moltissimi progetti aperti. Tutti finalizzati
a migliorare il prodotto finale, ma anche a ottimizzare i flussi di lavoro
riducendo i costi di produzione. C’è la pressione del momento, certo. Eppure,
siamo tutti molto uniti attorno ai nuovi progetti e a dare un futuro al
servizio pubblico».
Ha
citato i palinsesti. Davvero non verranno toccati dai tagli?
«Ci
sarà qualche offerta laterale che verrà ridotta o dismessa. Per quanto riguarda
l’offerta principale, parlo in particolare della fascia serale televisiva,
siamo riusciti a produrre lo stesso prodotto con meno soldi. E questo grazie
alla tecnologia e a nuovi modelli produttivi. La sfida, per ora, è stata vinta:
è evidente però che se penso alla portata dei tagli, questo è solo un primo
scalino. Quando il canone nel 2027 scenderà ancora, non potremo più farlo. Per
questo abbiamo lanciato un grande progetto nazionale di trasformazione,
denominato “Enavant”».


Si
dice che l’offerta informativa della televisione verrà anticipata alle 18. Non
è un’invasione del servizio pubblico nel campo dei privati, che da anni
puntano su quella fascia?
«Il
Quotidiano rimarrà alle 19, il Telegiornale alle 20. Dunque la fascia
informativa rimarrà invariata. Tuttavia, è vero che al posto del quiz delle 18
avremo un nuovo magazine. Un programma per quanto ci riguarda innovativo,
perché sarà elaborato dalle redazioni di tre dipartimenti: informazione,
cultura e società e sport. Un programma che vuole dare il controcampo della
giornata: non sarà di informazione pura, bensì di approfondimento sul
territorio e in Svizzera. Per dirlo fuori dai denti, non vogliamo entrare in
concorrenza diretta con Teleticino. Non è il nostro obiettivo e consideriamo
Melide come un’offerta complementare alla nostra».
Veniamo
alla politica. Il Nazionale ha respinto l’iniziativa senza
controprogetto. È verosimile, viste le forze in campo, che nel 2026 si andrà al
voto con una sola opzione: canone a 200 franchi, oppure status quo. Non è un
rischio andare alle urne senza il paracadute di una proposta alternativa?
«Credo
sia importante che il voto ponga quesiti chiari: dover scegliere fra tre
alternative, renderebbe forse troppo complessa una materia già di per sé
difficile. Quindi, un voto “secco” dal mio punto di vista non è negativo.
D’altro canto, come direttore della RSI, non posso vedere di buon occhio un
controprogetto che vada ad aggiungere un ulteriore sgravio con l’esenzione
delle imprese dal pagamento del canone. Per noi significherebbe un’ulteriore
riduzione del budget molto importante, in aggiunta a quella che già comporta la
discesa del canone a 300 franchi. Un ulteriore elemento di incertezza».
Ha
fatto discutere l’accordo tra l’associazione Schweizer Medien e la SSR. Una
sorta di mutuo soccorso: sostegno dei privati nel combattere l’iniziativa in
cambio di una limitazione dell’offerta online da parte del pubblico. Che cosa
ne pensa?
«Per
prima cosa, l’accordo è al momento limitato alla Svizzera tedesca. In generale,
credo che per salvaguardare la diversità mediatica nella Confederazione vada
trovata un’intesa fra la SSR e gli editori. E questo non va letto come un
compromesso ambiguo o un accordo che vuole nascondere qualcosa, ma come difesa
dell’intero settore mediatico, a beneficio di tutti».