L'intervista

Mario Timbal: «La pressione è alta, ma l’azienda è unita»

Il direttore della RSI sui tagli comunicati questa mattina al plenum e sull’iniziativa «200 franchi bastano!»
©Gabriele Putzu
Giona Carcano
12.06.2025 16:39

La RSI ha comunicato la seconda fase del piano biennale, che prevede entro il 2026 un risparmio di 7 milioni di franchi e la soppressione di 37 posti di lavoro a tempo pieno. Il provvedimento segue quello annunciato lo scorso anno, che aveva portato a risparmi per 5 milioni di franchi e al taglio di 15 posti di lavoro. Con Mario Timbal, direttore della RSI, discutiamo del momento delicato attraversato dall’azienda e, più in generale, dal servizio pubblico.

In quale contesto si inserisce questa seconda fase di ridimensionamento del personale?
«Da inizio 2025 stiamo riducendo i nostri budget a causa del riconoscimento parziale del rincaro. Ma ci stiamo anche preparando alla discesa in due tappe del canone stabilita dal Consiglio federale tramite ordinanza, una fase che si concluderà nel 2029 quando la soglia sarà di 300 franchi. Sullo sfondo, poi, c’è la futura votazione sull’iniziativa “200 franchi bastano!”. Viviamo dunque un momento cruciale per l’azienda, in cui tutti questi elementi confluiscono, come in un imbuto».  

Quali saranno i settori coinvolti dai tagli?
«Tutti. Uno dei principi che abbiamo fissato per questo piano di risparmio è che non ci fossero tagli lineari grazie a progetti di trasformazione, senza toccare l’offerta in modo sostanziale. Tutto questo cercando di avere il minor impatto sociale ed economico possibile. Ci siamo mossi pensando a cambiamenti di palinsesto, a ottimizzare i modelli di produzione e delle funzioni di supporto. Inoltre, siamo stati aiutati dalla dismissione dello stabile di Besso, che porta a un risparmio non indifferente. Riassumendo, abbiamo voluto un approccio trasversale, praticamente senza toccare l’offerta, ma riuscendo anche a rinnovarla».

Stiamo preparando l’azienda e la sua offerta a essere giudicate

Al di là dei risparmi, in che modo state riorganizzando la struttura e la programmazione?
«Stiamo preparando l’azienda e la sua offerta a essere giudicate. L’obiettivo è quindi disporre di programmi che abbiano una  rilevanza ancora maggiore non solo dal profilo radiofonico e televisivo, ma anche digitale. È chiaro che in questa fase l’azienda è sottoposta a un forte stress. Da un lato stiamo spingendo un grosso cambiamento interno: penso all’abbandono dello stabile di Besso in autunno, con il trasferimento della radio a Comano,  o ai nuovi palinsesti di settembre. Dall’altro, ci sono le pressioni di una campagna di voto che cominciamo ad avvertire e il piano di risparmio dovuto alla discesa del canone, che comporta la riduzione in due anni (2024 e 2025, ndr) di 60 posti di lavoro».

Come viene recepito dai collaboratori questo momento molto delicato per il servizio pubblico?
«Quello in cui operiamo attualmente è un clima complesso e la pressione è alta. Soprattutto per un’azienda mediatica come la nostra, che produce qualcosa di immateriale. Ma siamo pronti per affrontare questo momento: sapevamo che sarebbe arrivato e di conseguenza ci siamo preparati. In un certo senso la RSI ha purtroppo l’abitudine a operare sotto pressione, perché la stessa è forte da parecchio tempo, almeno dalla votazione sulla “No Billag” del 2018. Abbiamo oggi tutte le carte per mostrare che il servizio pubblico, nella Svizzera italiana, ha un’importanza fondamentale per la vita politica, sociale e culturale. Ma siamo anche pronti a mostrare che tanti stereotipi sulla RSI, quel gigante che non sa cambiare, ridurre o innovare, devono essere rivisti».

Insomma, la RSI ha scelto di non subire passivamente la campagna di voto.
«Ci sarebbero tutti gli elementi per rimanere sotto traccia fino al voto. Abbiamo invece deciso di avere un ruolo attivo. E questo per rilanciare l’azienda in un momento di difficoltà, dimostrando che sì, cambiare e migliorare è possibile. Ad esempio, per l’estate abbiamo moltissimi progetti aperti. Tutti finalizzati a migliorare il prodotto finale, ma anche a ottimizzare i flussi di lavoro riducendo i costi di produzione. C’è la pressione del momento, certo. Eppure, siamo tutti molto uniti attorno ai nuovi progetti e a dare un futuro al servizio pubblico».  

Ha citato i palinsesti. Davvero non verranno toccati dai tagli?
«Ci sarà qualche offerta laterale che verrà ridotta o dismessa. Per quanto riguarda l’offerta principale, parlo in particolare della fascia serale televisiva, siamo riusciti a produrre lo stesso prodotto con meno soldi. E questo grazie alla tecnologia e a nuovi modelli produttivi. La sfida, per ora, è stata vinta: è evidente però che se penso alla portata dei tagli, questo è solo un primo scalino. Quando il canone nel 2027 scenderà ancora, non potremo più farlo. Per questo abbiamo lanciato un grande progetto nazionale di trasformazione, denominato “Enavant”».

Palinsesti? Ci sarà qualche offerta laterale che verrà ridotta o dismessa

Si dice che l’offerta informativa della televisione verrà anticipata alle 18. Non è un’invasione  del servizio pubblico nel campo dei privati, che da anni puntano su quella fascia?
«Il Quotidiano rimarrà alle 19, il Telegiornale alle 20. Dunque la fascia informativa rimarrà invariata. Tuttavia, è vero che al posto del quiz delle 18 avremo un nuovo magazine. Un programma per quanto ci riguarda innovativo, perché sarà elaborato dalle redazioni di tre dipartimenti: informazione, cultura e società e sport. Un programma che vuole dare il controcampo della giornata: non sarà di informazione pura, bensì di approfondimento sul territorio e in Svizzera. Per dirlo fuori dai denti, non vogliamo entrare in concorrenza diretta con Teleticino. Non è il nostro obiettivo e consideriamo Melide come un’offerta complementare alla nostra». 

Veniamo alla politica. Il Nazionale ha respinto l’iniziativa  senza controprogetto. È verosimile, viste le forze in campo, che nel 2026 si andrà al voto con una sola opzione: canone a 200 franchi, oppure status quo. Non è un rischio andare alle urne senza il paracadute di una proposta alternativa?
«Credo sia importante che il voto ponga quesiti chiari: dover scegliere fra tre alternative, renderebbe forse troppo complessa una materia già di per sé difficile. Quindi, un voto “secco” dal mio punto di vista non è negativo. D’altro canto, come direttore della RSI, non posso vedere di buon occhio un controprogetto che vada ad aggiungere un ulteriore sgravio con l’esenzione delle imprese dal pagamento del canone. Per noi significherebbe un’ulteriore riduzione del budget molto importante, in aggiunta a quella che già comporta la discesa del canone a 300 franchi. Un ulteriore elemento di incertezza».

Ha fatto discutere l’accordo tra l’associazione Schweizer Medien e la SSR. Una sorta di mutuo soccorso: sostegno dei privati nel combattere l’iniziativa in cambio di una limitazione dell’offerta online da parte del pubblico. Che cosa ne pensa?
«Per prima cosa, l’accordo è al momento limitato alla Svizzera tedesca. In generale, credo che per salvaguardare la diversità mediatica nella Confederazione vada trovata un’intesa fra la SSR e gli editori. E questo non va letto come un compromesso ambiguo o un accordo che vuole nascondere qualcosa, ma come difesa dell’intero settore mediatico, a beneficio di tutti».


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