Inflazione

Mettere il vino nel portafoglio

L'attuale complessa situazione economica sta spingendo gli investitori verso i beni rifugio e una differenziazione dei propri investimenti – L'interesse a lunga scadenza per le bottiglie pregiate non è mai stato così grande, spiegano gli esperti del settore – Per qualcuno è «solo» un bene di lusso
Paolo Galli
17.08.2022 06:00

L’inflazione fa paura? Beviamoci su. Potrebbe essere questo lo slogan (politicamente scorretto) per descrivere tempi (scorrettissimi) come questi. Tempi in cui la stabilità economica è messa a dura prova da più fattori. Li conosciamo, dalla pandemia sino alla guerra in Ucraina - la guerra con tutto ciò che si è portata dietro, che si sta portando dietro, inflazione compresa -. E in periodi simili, si cercano ovunque sicurezze. Vale per ogni aspetto della vita, anche - se non soprattutto - per quello economico. Si cercano insomma rifugi, in termini economici quelli che chiamiamo beni rifugio. Il vino è considerato proprio un bene rifugio. Mica per tutti. Ma per alcuni lo è sempre di più.

Gli indizi

Negli scorsi giorni, il Financial Times riportava, in prima pagina, i dati di Bordeaux Index, la principale società di commercio globale di vini rari. Nella prima metà del 2022, Bordeaux Index ha registrato un aumento delle vendite del 37% a 80 milioni di sterline e si prepara quindi a battere il suo stesso record, fissato nel 2021 a 126 milioni di sterline di fatturato (145 milioni di franchi). «L’interesse per il vino come investimento non è mai stato così grande», ha ammesso Gary Boom, fondatore della stessa società, alludendo anche alla situazione complessa dell’economia mondiale. Negli scorsi mesi, altre conferme erano giunte da uno studio di Barclays Wealth & Investment - secondo cui un quarto degli investitori di altissimo profilo possiede, nel proprio portafoglio, anche una collezione di vini il cui valore equivale almeno al 2% del proprio patrimonio - e dal rapporto del Knight Frank Luxury Index. In dieci anni, i vini pregiati avrebbero infatti visto crescere il loro valore del 147%.

Poi viene consumato

Fabio Cattaneo, CEO di AVU, l’azienda di Sorengo attiva nella distribuzione di vini pregiati e rari - che a maggio 2021 aveva fatto parlare di sé dopo aver realizzato una vendita record per una singola bottiglia da un milione di franchi -, conferma: «Per gli ultra-benestanti, oggi diventa sempre più complicato investire in modo sicuro. E allora si cercano investimenti in beni rifugio. Non solo vino, anche arte, auto d’epoca. È anche un po’ una moda. Per quanto riguarda il vino, ci sono più motivi. Il primo? È che poi viene consumato». Come riportato anche dal Financial Times, sulla base di quanto dichiarato dai manager di Bordeaux Index, sono i più ricchi tra i ricchi ad acquistare vino a copertura contro l’inflazione. E Cattaneo aggiunge: «Sì, parliamo di miliardari. Investono in vino per diversificare il loro portafoglio». Potrebbe esserci un calo, visto il momento, per quanto riguarda la categoria degli investitori di ricchezza media. A quel punto semmai subentra la passione. «Ma anche l’ispirazione dettata dall’esperienza, vedendo vini comprati magari anni prima che nel frattempo hanno acquisito valore. E allora perché non investire ancora in vini pregiati? Anche perché le persone vogliono investire in qualcosa di fisico, oggi, di reale».

Diversificare

Luca Pedrotti, direttore regionale di UBS Ticino, ci spiega che, generalmente, si indica di dedicare, a questa tipologia di investimenti, il 5% del patrimonio. Pedrotti aggiunge: «I clienti normalmente valutano e decidono in maniera autonoma, scegliendo la categoria di investimento e rivolgendosi alla banca per un consiglio circa il posizionamento a livello di diversificazione all’interno del patrimonio. Le categorie di investitori che si focalizzano maggiormente sui beni preziosi sono i clienti High Net Worth (HNW) e Ultra High Net Worth (UHNW), che sono quindi dotati di una rilevante capacità di diversificazione all’interno del proprio portafoglio».

I dubbi di Stefano Fiala

Dal canto suo, Stefano Fiala, CEO di VECO Invest, è scettico nel definire il vino come un bene rifugio: «È semmai un bene di lusso», ammonisce. «Per chi ha patrimoni importanti, si tratta di una piccola diversificazione». La sua azienda non la considera. «Esistono però fondi che vanno a investire su alcuni vini. Ma non so se possiamo parlare di beni rifugio. C’è una continua diatriba dialettica attorno alla definizione. Parliamo infatti di beni materiali che sono anche beni di consumo. Non è l’oro: l’oro resta così per sempre. Il vino no». Fiala aggiunge un ulteriore elemento di riflessione: «Diciamo che è un bene rifugio, d’accordo, ma poi, nel momento in cui avessi bisogno, non sarebbe neppure così facile renderlo “liquido”, ossia venderlo. Vale per il vino come per le auto d’epoca. E allora si capisce come siano situazioni create ad hoc dall’industria». Il tutto è riconducibile, insomma, a una moda, nella lettura di Stefano Fiala. E al lusso. «Pur di possedere qualcosa, non mi chiedo più quanto valga, ma prendo atto di quanto costa. Non ha nulla a che vedere con il valore economico. Ha però un valore sociale, questo sì». Secondo Fiala, in definitiva, l’esplosione del mercato dei vini pregiati «ha una vita indipendente dal momento economico. Non è un fenomeno correlato alle normali dinamiche congiunturali».

L’esperienza di Paolo Basso

Il vino è un investimento? Ma è anche una passione. Non sempre i due fattori viaggiano a braccetto. Paolo Basso, sommelier - il migliore al mondo nel 2013 -, spiega: «Da un lato è bello vedere tanta attenzione sui vini, dall’altro però i grandi vini stanno raggiungendo prezzi a cui buona parte degli appassionati non possono più accedere». Basso ha notato lo sviluppo di questo fenomeno. «Già dagli anni Novanta. E durante la pandemia è risultato che i vini di Bordeaux hanno realizzato performance migliori rispetto anche ai Rolex e alle Birkin di Hermès». Ma la regola non vale per ogni vino. «I prodotti da investimento non sono molti, anzi: pochi francesi, pochi italiani, pochissimi vini di altre parti del mondo. E di pochissime annate. Sono tre le componenti: devono essere grandi vini, con una grande reputazione, di grandi annate. E poi il resto è fatto d’attesa, una lunga attesa». Lo stesso Cattaneo afferma: «Parliamo di investimenti a lungo termine. Nessuno si aspetti ritorni immediati. Bisogna avere pazienza». Ma se i vini da investimento sono pochissimi, tutti sanno quali sono e dove trovarli e quanto spendere. «Il colpaccio è difficile da piazzare», ammette Cattaneo. Basso aggiunge: «Difficile fare scoperte in questo senso. Il mondo del vino poi è sempre più mediatizzato. E non ci sono più neppure i critici, come poteva essere, fino a qualche anno fa, l’americano Robert Parker - lui riusciva a far cambiare il prezzo dei vini -, capaci di issare un determinato marchio su altissimi livelli». Rispetto ai vini dai nomi noti, insomma, potrebbero anche esserci alternative, ma il rischio è alto. «Bisogna calcolare anche che ci sono vini eccezionali che non riescono a decollare dal punto di vista della reputazione».

La cantina in eredità

Le persone che possono permettersi queste bottiglie sono sempre più - visto l’interesse di nuovi mercati -, come sottolinea Fabio Cattaneo. «L’offerta è limitata, la richiesta sempre maggiore». Basti pensare che con la sua AVU da inizio anno ha venduto una ventina di bottiglie sopra i centomila franchi. E allora, come diceva Paolo Basso, alcuni vini rimangono ben distanti dalla massa degli appassionati, e quindi dalla cultura popolare. Il sommelier racconta: «Avevo diversi clienti fissi, alle mie degustazioni. I grandi vini che assaggiavano erano già piuttosto costosi, ma accessibili. All’epoca però c’era una certa euforia economica, distante dal sentimento odierno. Oggi molti clienti hanno smesso di seguire quelle degustazioni: alcuni vini sono diventati inaccessibili. Quando si parla di bottiglie che costano ventimila franchi, anche il ricco appassionato tende a pensarci su. Uno dei miei clienti fissi, un signore con una importante posizione sociale, un giorno mi ha spiegato la sua rinuncia: “Moralmente non sono più pronto a pagare cifre di questo tenore”». Era uno di quei clienti che preparavano la cantina pensando di lasciarla in eredità al figlio e quindi al nipote. «Era considerato un onore, oggi per lui è diventato qualcosa di immorale».