Monteggio, chiesti undici anni per le rapine (tentate e riuscite)

«Non sono i ladruncoli che ogni tanto troviamo in quest’aula». Alla sbarra, secondo il sostituto procuratore generale Moreno Capella, c’è anzi un rapinatore seriale, che con alcuni complici ha partecipato sia alla tentata rapina del 9 dicembre 2021 alla Raiffeisen di Monteggio sia a quella, riuscita, del luglio 2019 ai danni di un furgone portavalori, sempre a Molinazzo di Monteggio. Senza contare un terzo «colpo», nel 2014 a Mendrisio e un furto a Stabio, risalente al 2012. Entrambi commessi ai danni di portavalori. Insomma, il 55.enne italiano a processo alle Assise criminali con le accuse principali di rapina aggravata (in parte tentata) e furto «va condannato ad almeno 11 anni di carcere». Dal canto suo l’uomo, difeso dall’avvocato Stefano Pizzola, ammette solo la tentata rapina alla banca, a suo dire non avvenuta poiché la banda aveva deciso di rinunciarvi poco prima del blitz della Polizia che li aveva arrestati, e respinge gli altri addebiti, affermando di non aver mai preso parte ai «colpi» imputatigli. Secondo il suo legale, le prove raccolte non bastano a dimostrarne la colpevolezza e la pena andrebbe ridotta a non più di 21 mesi. La Corte, presieduta dal giudice Amos Pagnamenta (a latere Aurelio Facchi e Fabrizio Filippo Monaci) si è riunita in camera di consiglio con gli assessori giurati e comunicherà la sentenza domani mattina alle 11.
Armi vere e lampeggiante finto
La tentata rapina alla Raiffeisen, lo ricordiamo, andò in scena il 9 dicembre 2021. Quattro uomini, tra cui l’imputato, sospettato di aver avuto un ruolo di primo piano, erano stati arrestati dalla polizia su un’auto rubata il mese prima. Nel veicolo erano stati rinvenuti un passamontagna, guanti da lavoro, un taser, un coltello a farfalla con una lama da 24 centimetri, due pistole calibro 9 mm cariche e una pistola softair. Oltre a un faro blu della Polizia e un’artigianale paletta «Ministro della difesa Carabinieri». In aula l’imputato ha affermato che il quartetto, partito dal Milanese, aveva deciso il colpo quasi per caso, senza un piano e ruoli prestabiliti. Una tesi che non ha convinto Pagnamenta: «Vi siete trovati al bar e avete detto “Ma sì, facciamo una rapina!”», ha chiesto all’imputato. «Paradossalmente è andata così», ha replicato il 55.enne. Sempre a suo dire, inoltre, il quartetto ha desistito dal commettere la rapina non appena arrivati al posteggio. Anche questa ricostruzione ha lasciato perplesso il giudice: «È la sua terza versione». Probabilmente aveva realizzato che qualcosa non andava e che cerano meno automobili posteggiate del solito…». Tra gli oggetti sequestrati quel giorno vi era anche una Glock 17, una pistola calibro 9 appartenuta alla guardia giurata che guidava proprio il furgone rapinato nel 2019 a Molinazzo di Monteggio. Per l’accusa, anche questa è una prova della colpevolezza dell’imputato, il quale avrebbe immobilizzato il malcapitato, minacciandolo con un’arma finta e sottraendogli la Glock. Oltre a ciò, uno dei sei correi che quel giorno presero parte al colpo, che aveva fruttato un bottino di oltre tre milioni di franchi, lo aveva collocato sulla scena con ruolo e responsabilità ben precisi. Quest’ultimo e altri due membri ella banda erano stati condannati a pene comprese tra i 4 anni e i 5 mesi di reclusione e i 4 anni e 8 mesi (in Appello, nell’agosto 2021 due condanne erano state ridotte, ndr) e la testimonianza era stata giudicata credibile nei due gradi di giudizio. Sollecitato dal giudice, l’imputati ha affermato che l’arma era stata da lui acquistata da un conoscente di uno degli autori di quel colpo e che lui, in realtà, non vi aveva mai preso parte.
"Non ero io"
Più o meno la stessa linea difensiva adottata per respingere gli altri due addebiti: quello di aver derubato un portavalori nell’ottobre del 2014 e di aver rapinato un altro portavalori nel 2012 a Stabio. «Non ero presente», ha affermato. Per quanto riguarda però il primo caso, si è risaliti a lui grazie alle immagini della videosorveglianza. Un software della Polizia di Neuchâtel aveva accertato un’alta probabilità che l’uomo (vestito da prete) immortalato mentre rompeva il vetro della portiera dell’automobile del portavalori sottraendo uno zaino con 200 mila franchi fosse in realtà proprio l’imputato. Nel secondo caso, invece, era stato raccolto del DNA a lui riconducibile sul volante e sul cambio dell’automobile usata per il colpo. «L’avevo rubata qualche giorno prima e consegnata a qualcuno che l’ha usata per la rapina», si è difeso il 55.enne.
La sentenza domattina
Come detto, per l’accusa l’uomo ha sempre agito associato a una banda criminale. Senza contare che «nel 1996 era stato condannato a Monza per rapina aggravata a quasi 7 anni e nel 2015 il Tribunale di Varese gli aveva inflitto 3 anni e 10 mesi per rapina a mano armata ai danni di un distributore Tamoil a Stabio lo stesso anno». I suoi complici nel tentato colpo di Monteggio, ha ricordato, hanno rimediato uno nove condanne, uno undici condanne e 30 anni passati in carcere, uno cinque con il sospetto di aver preso parte un omicidio. «Il mio cliente deve essere giudicato solo per i quattro capi d’accusa e non per episodi analoghi precedenti», ha dal canto suo ribattuto Pizzola. Il legale ha argomentato che le prove raccolte «non sono sufficienti per dimostrare un’assoluta colpevolezza, se non, ad esempio, la testimonianza di un rapinatore pluricondannato». La stessa Glock, inoltre, «girava tra le persone che l’imputato era solito frequentare». Basterà a convincere la Corte? La risposta la avremo stamattina.