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Nicola Pini: «Il Gran Consiglio un film bellissimo, ma ora è tempo di un nuovo ciak»

Il sindaco di Locarno racconta il passaggio di fase della sua vita personale e politica, tra l'addio al legislativo cantonale e l'attesa del terzo figlio, il legame con il Festival e le sfide future della città
©JEAN-CHRISTOPHE BOTT
Mattia Sacchi
14.08.2025 06:00

Annunciarlo alla Magistrale, durante il tradizionale ricevimento del Gran Consiglio al Locarno Film Festival, non è stato un gesto casuale. Nicola Pini, oggi sindaco di Locarno, ha scelto di chiudere il capitolo di dieci anni da deputato proprio lì dove cultura e politica si incontrano, in un luogo simbolo del dialogo internazionale. Un filo che parte dal 2015, quando il suo primo intervento a Bellinzona fu proprio sul rinnovo del credito cantonale al Pardo, e si chiude oggi, con la consapevolezza che anche in politica, come nella vita, ci sono momenti in cui serve il coraggio di voltare pagina.

Sindaco Pini, nel linguaggio del cinema, questo è il “The End” o un “To be continued”?
«Lo vedo come l’inizio di una nuova stagione di una serie televisiva. Le precedenti sono state intense, piene di trame e personaggi interessanti. Ora sento che la mia energia deve concentrarsi su Locarno: fare il sindaco è un ruolo totalizzante, che ti accompagna ventiquattr’ore su ventiquattro, assorbe tempo, attenzione e cuore. Non è stanchezza, ma la consapevolezza che in politica il tempismo è tutto: capire quando una fase si è compiuta è parte della buona amministrazione. E il momento giusto è adesso».

Perché proprio ora?
«Non c’è un solo motivo. Non si tratta di salute, di famiglia o di perdita di interesse. È una combinazione di fattori. Dopo dieci anni credo di aver dato molto e ricevuto altrettanto. Ho imparato che un Parlamento vivo ha bisogno di nuovi sguardi, di voci che vedano il mondo con occhi diversi. Restare a tutti i costi, solo per esserci, non sarebbe giusto né per me né per l’istituzione».

Il primo atto della sua carriera in Gran Consiglio è legato proprio al Festival.
«Sì, il mio debutto fu un intervento sul credito di rinnovo per il Locarno Film Festival. Ritrovarmi oggi a chiudere questo ciclo nello stesso contesto è una coincidenza che ha un valore simbolico per me. Il Pardo è molto più di un evento: è una piattaforma di dialogo culturale, economico e politico. La sua forza sta nell’incarnare quello che viene definito “esprit de Locarno”, erede del Patto del 1925, che vuol dire libertà, dignità umana, superamento delle divisioni e scelta del dialogo al posto della forza».

A proposito di Patto di Locarno, il consigliere federale Cassis ha ipotizzato lunedì scorso, durante la Giornata della diplomazia, una conferenza nel 2027, in occasione dell’80ª edizione del Festival.
«Sì, e mi ha fatto piacere sentirlo. Il Patto di Locarno è stato di una attualità sorprendente: cento anni fa segnò un passo decisivo nella diplomazia europea, dimostrando che anche una piccola città può giocare un ruolo nella pace mondiale. Oggi, in un contesto internazionale segnato da conflitti e tensioni, quel messaggio è ancora più necessario. Il Festival, per la sua natura aperta e internazionale, potrebbe contribuire a una conferenza di questo tipo. Ma credo sia importante che il suo ruolo di piattaforma di incontro e scambio si consolidi ogni anno, non solo in occasione di anniversari. Un vero capitale relazionale e di empatia che va coltivato nel tempo».

Qual è stata la scena più significativa dei suoi dieci anni?
«L’anno da Presidente del Gran Consiglio. È stato come coordinare un lavoro complesso, con molte sensibilità e interessi diversi, cercando sempre un equilibrio. Ho voluto rendere il Parlamento più vicino ai cittadini: sedute in streaming, incontri con studenti, dialogo con i presidenti dei legislativi comunali. E ho vissuto momenti di grande emozione: parlare senza preavviso al Gran Consiglio di Friburgo, assistere alla Landsgemeinde di Glarona, vedere la passione civica di migliaia di persone riunite all’aperto per decidere insieme. E poi i risultati concreti: il fondo per rivitalizzare edifici dismessi, il potenziamento del trasporto pubblico, le misure per la conciliabilità lavoro–famiglia, nuovi impulsi alla formazione professionale».

E il momento più amaro?
«Ci sono state giornate in cui sono uscito dall’aula con amarezza. Non per le sconfitte personali, ma per quelle occasioni in cui ho sentito che la politica perdeva l’occasione di fare un passo avanti. Ma rifarei le stesse scelte: ho sempre votato pensando al bene comune, anche quando significava prendere decisioni impopolari, o non in linea con il mio partito. La politica, come i grandi progetti, è fatta di compromessi: non si vince mai da soli».

Come è cambiato il Parlamento in dieci anni?
«Forse oggi è più autoreferenziale e partitico, ma non so se sia una trasformazione oggettiva o il mio sguardo che è cambiato. Da sindaco impari a vedere le cose in modo diverso: ti rendi conto che i problemi si risolvono meglio quando si lavora insieme, superando divisioni ideologiche. Gli Oscar si vincono solo se l’intero cast collabora».

Lei ha insistito anche sull’importanza del ricambio generazionale.
«Sì. Vorrei che i giovani capissero che c’è bisogno di loro. La politica è uno degli strumenti più potenti per cambiare la società. Ma perché entrino nuovi protagonisti, chi è già in scena deve avere il coraggio di farsi da parte. Il ricambio non è una perdita: è linfa vitale».

A proposito di equilibrio tra vita pubblica e privata, la sua famiglia sta per vivere un altro cambiamento importante.
«Mia moglie Angela è in procinto di partorire: tra poche settimane diventeremo genitori per la terza volta. È un’emozione che si intreccia con questa fase di passaggio politico. Ho sempre creduto che la famiglia sia la mia bussola. Angela è la mia interlocutrice più sincera, la persona con cui condivido idee e riflessioni. I miei figli mi ricordano ogni giorno che la vita vera non si esaurisce nelle riunioni o nei documenti: mi fanno domande dirette, a volte spiazzanti, che ti costringono a guardare le cose da un’altra prospettiva. E il terzo arrivo sarà un nuovo capitolo bellissimo».

Questo Locarno 2025 è speciale anche per la città…
«Certo, per il centenario del Patto, ma non solo. Siamo in una fase di grande trasformazione: la riqualifica di Piazza Grande e Largo Zorzi, la nuova Rotonda, il cantiere dell’ex Macello che spero ospiterà la scuola universitaria dell’audiovisivo, progetti per rendere Locarno più verde e vivibile. Sono cantieri che cambieranno la città nei prossimi anni, e voglio assicurarmi che vengano portati a termine con la massima cura. Penso a queste opere come a un set che stiamo preparando per le generazioni future».

Il Pardo e la città: una relazione unica.
«Il Locarno Film Festival non è solo proiezioni e ospiti internazionali: è un motore culturale ed economico per Locarno e per il Ticino. Porta qui il mondo, e allo stesso tempo porta Locarno nel mondo. Per una città che sta investendo nell’audiovisivo, questa sinergia è preziosa. Ogni anno, la città diventa un crocevia di lingue, culture e idee, e questo lascia un segno che va oltre i giorni del Festival».

In questa nuova fase, quali sono le priorità da sindaco?
«Completare i progetti avviati: trasformare la Rotonda in uno spazio fruibile tutto l’anno, estendere Piazza Grande fino al lago, restaurare il Castello, creare nuove aree verdi. E affrontare le sfide finanziarie che la congiuntura ci pone: occorrerà essere creativi e responsabili, proprio come quando si deve realizzare un’opera con un budget limitato».

Se dovesse dare un titolo a questa nuova fase?
«Non sono mai stato bravo con i titoli. Ma forse “Ciak, si gira…pagina” rende l’idea: non è un finale, è un passaggio di scena. Cambiano le priorità, cambia il ritmo, ma resta la volontà di dare il massimo per la città e per la sua comunità».

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