Pagare di più l’uva di collina? La discussione si annuncia accesa
«Chiederemo ai vinificatori di differenziare il prezzo dell’uva in funzione della zona di coltivazione». Trovare un accordo non sarà tanto semplice - ammette Rudy Studer, vicepresidente cantonale di Federviti -, «ma una discussione s’impone per il bene di tutta la filiera». La proposta, votata sabato all’unanimità dall’assemblea di Federviti, verrà discussa nelle prossime settimane all’interno del gremio che si occupa di fissare il prezzo dell’uva, l’IVVT, l’Interprofessione della vite e del vino ticinese. «Vorremmo che i vinificatori e i negozianti di vino riconoscessero due prezzi d’acquisto. Uno per l’uva che proviene dalle zone di pianura e un altro per l’uva coltivata in collina, dove i costi sono nettamente maggiori», spiega al CdT il nostro interlocutore. «Già in passato abbiamo sollevato la questione, ma i negozianti di vino hanno risposto picche». Secondo i viticoltori ticinesi, tuttavia, questa differenziazione è essenziale in quanto permetterebbe di sostenere la viticoltura di collina, confrontata con un progressivo abbandono. «I costi di produzione in pianura sono di 4 franchi al chilo. Mentre in collina ce ne vogliono almeno 7 o 8», spiega Studer. «Nessun negoziante di vino, però, è disposto a pagare questa cifra». Di qui, appunto, il progressivo abbandono dei vigneti collinari, che la proposta dei viticoltori vorrebbe frenare: «Bisogna invertire la tendenza e sostenere questa viticoltura tradizionale, su cui tutto il settore vitivinicolo ticinese ha costruito la propria immagine. Se perdiamo questo patrimonio, ne va dell’immagine di tutta la filiera».
Le resistenze
«Ma il consumatore sarà disposto a pagare di più per un vino di collina?». A porre la domanda è il direttore dell’Interprofessione del vino, Andrea Conconi. «I commercianti devono vendere un prodotto competitivo, ma in questo momento la situazione sul fronte dei rincari è già piuttosto tesa. Tappi, bottiglie e cartone costano di più. Tutto questo influisce sui margini di guadagno». Come Interprofessione, prosegue Conconi, facciamo da arbitro nella discussione sul prezzo dell’uva. È sicuramente una bella proposta - osserva Conconi -, ma le difficoltà non mancano: «A partire da quale pendenza abbiamo un vigneto di collina? Il 20%, il 30% o il 50%?». Secondo Conconi, c’è poi la questione dei controlli: «Se si decide di differenziare i prezzi dell’uva, bisogna poter verificarne la provenienza». Di qui, la conclusione del direttore dell’IVVT: «La soluzione più semplice è di prevedere un unico prezzo, lasciando poi al viticoltore la possibilità di mercanteggiare in funzione della qualità e della provenienza dell’uva».
«Due discorsi separati»
Secondo Conconi «sarebbe quindi più opportuno disgiungere il tema del prezzo dell’uva da quello della salvaguardia dei vigneti di collina, che certamente vanno sostenuti, ma con altri strumenti». In questo senso si muove la mozione del deputato in Gran Consiglio Aron Piezzi che propone di creare un fondo cantonale per incentivare la salvaguardia e la valorizzazione dei vigneti tradizionali.
Secondo Conconi, i vantaggi del mantenimento della viticoltura di collina sono infatti molteplici e non riguardano il solo settore vitivinicolo: «Ne beneficia il turismo, oltre a costituire una risposta contro l’avanzamento dei boschi e l’erosione dei terreni». A chi spetta dunque il finanziamento del fondo? «La domanda è ancora aperta», conclude Conconi.
Meno riserve, più resa
Con le rivendicazioni dei viticoltori sono arrivate anche le buone notizie: «Le riserve delle cantine sono diminuite. Dai 34 mesi di tre anni fa siamo scesi sotto i 30», osserva Conconi. Un buon segnale per tutta la filiera. «La piccola vendemmia del 2021 e le maggiori vendite registrate durante la pandemia hanno ridotto le giacenze nelle cantine dei negozianti di vino.
«La vendita dei rossi ticinesi quest’anno è aumentata del 6 %», osserva Conconi, «grazie al sostegno dei ticinesi e del forte afflusso di turisti confederati in Ticino durante la pandemia». La conseguenza? Da quest’anno i viticoltori potranno tornare a raccogliere il chilogrammo pieno di uva merlot per ogni metro quadrato di superficie coltivata. Negli ultimi due anni, ricorda Studer, l’aumento delle riserve aveva infatti costretto la filiera a stabilire - di comune accordo, ma non senza qualche tensione - un limite di 800 grammi. «Per noi viticoltori è una buona notizia», aggiunge Studer. «L’aumento della resa ci consente di guadagnare qualcosa in più e, nello stesso tempo, ci permette di non buttare via parte del raccolto, come invece è accaduto negli ultimi due anni». Del resto, conclude Studer, «se si voleva regolare il mercato cercando di diminuire le scorte di cantina, bisognava produrre di meno».



«Ora disponiamo di una radiografia del vigneto ticinese»
«Per il settore è un momento importante», osserva Mirto Ferretti, presidente di Federviti Bellinzona e Mesolcina. «Finalmente disponiamo di uno strumento scientifico che descrive, regione per regione, le caratteristiche gestionali e strutturali dei vigneti ticinesi». Lo studio - promosso da Federviti e dall’Interprofessione e realizzato dall’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio (WSL) di Cadenazzo - è pronto e nelle prossime settimane verrà presentato al settore. «L’evoluzione della superficie viticola ticinese fino a ieri era monitorata attraverso il certificato di produzione di uva che ogni viticoltore fornisce durante la vendemmia», spiega Ferretti. «Oggi, invece, disponiamo di una carta dettagliata che indica non solo l’ampiezza delle superfici coltivate, ma anche dove queste si trovano e il loro grado di difficoltà gestionale».
Qualche dato
Cosa emerge allora dallo studio? «Innanzitutto che il Ticino dipone di 1.100 ettari produttivi. 700 sono coltivati in zona da agevolata a facile, dove la coltivazione può quindi essere meccanizzata. I restanti 400 ettari sono in collina». Una fetta considerevole, oltre il 35%, che spinge Federviti a una riflessione: «La nostra preoccupazione è che parte di questi ettari, per una serie di concause, possano sparire». Di qui, appunto, l’utilità dello studio che attraverso una mappatura precisa dei vigneti indica quali siano quelli meritevoli di un sostegno finanziario affinché la loro cura possa continuare nel tempo. «Lo studio costituisce dunque il primo necessario passo per la costituzione del fondo cantonale a favore dei vigneti di collina», chiosa Ferretti.
Il grado di difficoltà
Non solo. Lo studio avrà anche un secondo scopo, osserva il vicepresidente cantonale di Federviti, Rudy Studer: «Oggi la categoria dispone di uno strumento in più da esibire nell’ambito delle trattative con le cantine per il prezzo dell’uva». A fargli eco, Ferretti: «Ogni viticoltore potrà contare su un documento che, in maniera oggettiva, mostra il grado di difficoltà di coltivazione del proprio vigneto». Un riconoscimento imparziale che potrebbe semplificare le trattative con i trasformatori. Il primo passo, conclude Ferretti, è comunque un altro: «Evitare la concorrenza tra la viticoltura di collina e quella di pianura. E questo a vantaggio di tutti. Viticoltori e trasformatori».