Ticino

Pensioni, si cercano soluzioni

Dopo la manifestazione dei dipendenti pubblici si ragiona sulle misure di compensazione - Il direttore dell'IPCT Rotanzi: «Il tasso di conversione attuale non è economicamente sostenibile» - Vitta: «Pronti a sederci al tavolo per discutere soluzioni» - Ma le forze politiche si dividono
© CdT/Chiara Zocchetti

Il giorno dopo la manifestazione che ha portato 4 mila persone in piazza contro il taglio delle pensioni, la palla torna nel campo della politica. Spetterà infatti soprattutto al Governo, e di riflesso al Gran Consiglio, capire come procedere per non penalizzare i dipendenti dello Stato e di tutti gli altri Enti affiliati all’IPCT. La premessa «tecnica», però, è chiara: «Mantenere un tasso di conversione del 6,17%, e non abbassarlo, è economicamente insostenibile», spiega il direttore dell’IPCT Daniele Rotanzi, che parla di un «passo inevitabile».

«Il tasso di conversione - premette il direttore - è un parametro tecnico che dipende da due fattori principali: la longevità e il cosiddetto tasso tecnico, ossia il tasso di rendimento che ci aspettiamo di poter conseguire in futuro sul capitale di cui disponiamo e che investiamo nei mercati finanziari». Da un lato, la durata della vita è aumentata, dall’altro, invece, il tasso tecnico si è ridotto, passando dal 3,5% nel 2013 fino ad arrivare all’1,5% attuale. E qui sta il nocciolo della questione. «Il tasso di conversione del 6,17% era stato calcolato nel 2012 - con la precedente riforma della cassa pensioni dello Stato - considerando la longevità dell’epoca e un tasso tecnico del 3,5%. Con i dati sull’aspettativa di vita di oggi, ma soprattutto con l’attuale tasso tecnico dell’1,5%, il tasso di conversione neutro sarebbe attualmente del 4,83%». Ecco quindi che mantenere il tasso di conversione al 6,17%, quando il tasso neutro dovrebbe essere del 4,83% significa generare un buco finanziario. «A medio termine parliamo di almeno 50 milioni all’anno che verrebbero a mancare», dice Rotanzi. «Visto che l’IPCT si trova già in una situazione finanziaria non facile, non è sostenibile mantenerlo al 6,17%». Insomma, non ci sono alternative.

Quali misure compensative?

«In Svizzera - ricorda Rotanzi - sulle oltre 1.400 casse pensioni, pochissime hanno ancora un tasso di conversione superiore al 6% a 65 anni e la media si sta sempre più abbassando in direzione del 5%. Piuttosto, si percorre un’altra via: abbassare il tasso di conversione e prevedere misure di compensazione». Già, ma quali? «Bisognerebbe aumentare i contributi, che sono a carico sia del datore di lavoro che dei dipendenti».

Se si andasse in questa direzione, si dovrebbe anche decidere come suddividere l’aumento, ossia decidere se debba essere solo a carico del datore di lavoro o suddiviso - e in che misura - tra datore di lavoro e dipendente. Qui, come detto, spetta alla politica decidere. «Il Governo - prosegue Rotanzi - ha fatto sapere di essere disposto a entrare nel merito per le misure di compensazione». Una misura simile, più strutturale e sul lungo periodo, sarebbe importante soprattutto per i dipendenti più giovani, coloro che oggi hanno meno di 45 anni.

Per chi si aggira attorno ai 50 anni e chi è più vicino alla pensione, invece, occorrono soluzioni supplementari, su cui può intervenire il CdA dell’IPCT per quanto i mezzi a propria disposizione lo permettano. «Abbiamo deciso che non abbasseremo immediatamente il tasso di conversione, ma procederemo con una riduzione graduale, abbassandolo di circa lo 0,15% ogni anno per indicativamente otto anni. Questo è lo scenario su cui si sta lavorando». L’operazione, però, ha un costo: circa 200 milioni. «Uscite che dovremmo riuscire a finanziare grazie a un accantonamento per misure di compensazione di 300 milioni. Se avanzassero risorse, inoltre, analizzando le classi di assicurati più toccati si potrebbero anche mettere in campo misure di compensazione ad hoc».

Tra Governo e partiti

Alla politica, dicevamo, spetterà pronunciarsi su eventuali misure di compensazione. «Come peraltro già segnalato in passato, il Governo è disponibile a mettersi al tavolo con i rappresentanti del personale per discutere di possibili misure di compensazione», sottolinea il direttore del DFE Christian Vitta. Ma se il Consiglio di Stato si dice pronto a parlarne, in Gran Consiglio la discussione si preannuncia accesa. «Siamo di principio contrari a qualsiasi costo aggiuntivo, quindi potremmo discuterne se il Governo proponesse un taglio altrove», dice il deputato dell’UDC Paolo Pamini, che aggiunge: «Un’apertura da parte nostra potrebbe entrare in considerazione se si rivedessero le condizioni di assunzione degli statali nel loro complesso. Penso all’introduzione di obiettivi e piani di crescita personale, sistemi di valutazione per decidere le promozioni, revisione dell’istituto della nomina. Non dovesse essere così, ossia se i contribuenti dovessero essere chiamati alla cassa, chiederemmo che siano loro a decidere in voto popolare. Confrontando le condizioni di lavoro tra statali e il resto della popolazione, non so che esito potrebbe avere il voto».

Di parere simile anche Michele Guerra (Lega): «Sul risanamento della Cassa, la Lega ha teso la mano con una proposta che tutela il cittadino. Soldi pubblici dati in prestito anziché una sorta di donazione di mezzo miliardo a fondo perso. Qui vale la stessa cosa: ci siamo già detti contrari a qualsiasi misura atta a prelevare soldi dalle tasche del cittadino. Siamo invece pronti a discutere soluzioni alternative neutrali nei confronti dei soldi pubblici». Ad oggi, conclude, «sui nostri banchi non abbiamo però ancora ricevuto alcuna proposta concreta. Mi auguro quindi si eviti il muro contro muro».

Più possibilista Maurizio Agustoni (Il Centro/PPD): «In prima battuta occorre cercare una soluzione condivisa tra le parti sociali. Se l’operazione coinvolgerà anche il Parlamento, è importante che questa misura sia anche credibile di fronte alla popolazione, visto che verosimilmente un eventuale intervento finanziario verrebbe referendato. Vogliamo evitare, insomma, che diventi una guerra di religione». Ma soprattutto, sostiene il capogruppo del Centro, «vogliamo far sì che si trovi una soluzione definitiva, non l’ennesimo cerotto». «Da parte nostra aspettiamo di conoscere le proposte sul tavolo, prima di poterne discutere in maniera approfondita. A questo stadio, infatti, tocca in prima battuta a IPCT, Governo e sindacati sedersi attorno al tavolo», sostiene anche la capogruppo del PLR Alessandra Gianella. «Il tema è senza dubbio importante - prosegue - ma con la crisi in atto dobbiamo sederci attorno al tavolo cercando di non compiere nuovamente gli errori del passato».

Secondo il PS, invece, «uno dei motivi per cui non c’è abbastanza capitale sui conti per assorbire una riduzione del tasso di conversione è che gli assicurati hanno partecipato negli anni in maniera importante al risanamento della cassa pensione», spiega il capogruppo socialista Ivo Durisch. Quindi «è il datore di lavoro, lo Stato, che questa volta deve fare la sua parte aumentando i contributi. Senza chiedere agli affiliati ulteriori sacrifici». Dello stesso avviso anche Samantha Bourgoin (Verdi): «Lo Stato deve ricordarsi che è un datore di lavoro. Le misure di compensazione, quindi, sono un dovere».

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