Presunta sottrazione di minore, madre assolta anche in Appello

La sentenza della Corte di appello e di revisione penale (CARP) presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will le è stata intimata esattamente a dieci anni e un giorno dal presunto fattaccio. Da quell’11 maggio 2015 in cui l’imputata lasciò Lugano con suo figlio di cinque anni, dicendo al suo ex compagno che lo stava portando in Russia per una visita dal dentista. In realtà era diretta in Belgio, dove pensava poi di rimanere. Da qui l’accusa, da parte del padre del bambino, di rapimento di minore. Accusa - tecnicamente il reato è quello di sottrazione di minorenne - da cui la madre, difesa dall’avvocato Elio Brunetti, è però stata assolta, il 12 maggio 2025 appunto, per una seconda volta. Sia perché gli accordi vigenti allora fra i genitori non richiedevano una loro decisione congiunta per stabilire il luogo di residenza del figlio, sia perché al momento di prendere la decisione la madre «era in buona fede e convinta di avere tutti i diritti sul figlio», e ha saputo convincere la CARP di ciò, come già la Pretura penale in precedenza.
Una vicenda molto complessa
Così riassunta, la vicenda può anche apparire semplice. Ma per arrivare a tale conclusione ci sono voluti dieci anni di decisioni civili e penali (il caso è stato trattato anche in Belgio) e diverse perizie, arrivando a scomodare l’Istituto svizzero di diritto comparato per capire la valenza giuridica di un accordo fra le parti sottoscritto in California alla nascita del figlio. Il tutto nel contesto di una famiglia, per motivi lavorativi, nomade. O per meglio intenderci, e senza voler far particolare riferimento all’accezione fiscale della parola, globalista. Famiglia globalista (entrambi i genitori sono cittadini stranieri) che nei mesi del presunto rapimento si trovava a Lugano.
Alla fine, agli occhi della Legge l’ha spuntata la madre, sia grazie al parere legale, sia grazie alle sue dichiarazioni coerenti, ma anche grazie a quanto da lei messo in atto prima di trasferirsi in Belgio con il figlio. Vale a dire la notifica di partenza (e della situazione) all’Ufficio stranieri e alla Polizia, dove aveva lasciato i suoi recapiti belgi e copia dei passaporti.
Intanto la vita continua
Se si è infine chiarito che dieci anni fa non vi è stato reato (ricorsi al Tribunale federale permettendo), con questa sentenza la madre ha ottenuto sì il non riconoscimento delle pretese risarcitorie del padre, ma non di poter vivere con il proprio figlio, che nel 2024 ha potuto vedere solo un paio di volte. Mentre si attendeva la giustizia, la vita è infatti andata avanti e il giovane, che ora vive in Svizzera con il padre, non ha desiderio di incontrare la madre con più frequenza. Perché, ha spiegato lei in aula, il padre «non vuole che abbia rapporti con me».