Sentenza

«Quella collezione privata non volevano restituirla»

Condannati per appropriazione indebita, truffa e falsità in documenti due cittadini italiani che si sono impossessati di una trentina di opere d’arte – «Hanno dato prova di vivere di espedienti e di ricorrere a stratagemmi»
Questa scultura è rimasta al suo posto. © CdT/Chiara Zocchetti
Valentina Coda
21.12.2023 17:39

Altro che «pasticcioni», come volevano dipingerli le difese. I due cittadini italiani a processo da ieri «non hanno mai pensato di restituire le opere d’arte, piuttosto la loro intenzione era quella di impossessarsene». La Corte delle assise criminali non ha avuto dubbi nel condannare il 65.enne a 36 mesi (22 dei quali sospesi per 2 anni) e il 60.enne pure a 36 mesi (18 dei quali sospesi per 2 anni) per appropriazione indebita, truffa e falsità in documenti.

«Una messa in scena»

Tutto ruota attorno a una trentina di dipinti e sculture, affidate ai due uomini in conto vendita da un noto collezionista privato, che vanno da opere di De Chirico, Léger e Marks Nest fino a Sutherland, Crippa e Nag Arnoldi. Queste vengono inizialmente esposti in una galleria nel Mendrisiotto (poi fallita) e in seguito spostati in un deposito nel Luganese. Il tutto si complica quando, alla morte del collezionista, gli eredi chiedono la restituzione della collezione. A quel punto inizia «una vera e propria truffa», come descritto dalla procuratrice pubblica, Chiara Borelli. «Dagli atti emerge che alla domanda di restituzione, gli imputati hanno affermato che le opere d’arte erano state vendute a una terza persona con una documentazione posticcia – ha argomentato il presidente della Corte, il giudice Amos Pagnamenta, durante la lettura della sentenza -. Solamente quando si è scoperto che la collezione era nel Luganese gli imputati ammettono che era tutta una messa in scena. Anche perché il Pretore non avrebbe ordinato la restituzione delle opere con una misura cautelare se i due avessero dichiarato la loro esistenza».

Di ammissioni e collaborazione

In buona sostanza, i due cittadini italiani – patrocinati dagli avvocati Felice Dafond e Francesca Piffaretti-Lanz – si sono impossessati della collezione privata (parliamo di una trentina di opere d’arte, ndr) e non l’hanno restituita. Un fatto, questo, ammesso «dopo non poche reticenze». Il loro agire, al netto di tutto, è stato considerato «grave» dalla Corte, poiché «hanno avuto fini di lucro e dato prova di vivere di espedienti, di ricorrere a stratagemmi così da sottrarsi alle loro responsabilità».

Nella commisurazione della pena, la Corte ha però riconosciuto le ammissioni e la collaborazione dei due imputati, anche se «in maniera limitata».

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