Radicalismo in Ticino, ombre e casi mai chiariti

Il caso dell’accoltellamento alla Manor riporta prepotentemente in primo piano il tema della presenza, sul nostro territorio, di persone vicine al radicalismo islamico. E negli ultimi dieci anni di casi se ne sono visti parecchi, anche se non tutti completamente chiariti. Ci sono stati reclutatori condannati, imam sorvegliati dall’antiterrorismo e moschee perquisite, giovani ticinesi partiti per la Siria e l’Iraq per combattere a fianco dell’ISIS e morti sotto le bombe della coalizione a guida americana. Ci sono anche stati tentativi dall’estero - come rivelato dai Qatar Papers - di investire milioni di franchi per realizzare luoghi di culto. Per il caso più eclatante occorre tornare alla notte del 20 febbraio 2017, quando gli inquirenti federali e cantonali portarono a termine un blitz in grande stile con controlli anche alla moschea di Viganello. Un blitz che portò all’arresto di Ümit Y. e che fu ordinato quando si venne a sapere, grazie a un’inchiesta condotta insieme alle autorità italiane, che grazie alla sua intermediazione due persone residenti a Lugano erano partite nel 2015 per combattere, e poi morire, in Siria e Iraq per le truppe del Califfato. Si trattava di un ventiseienne di Molino Nuovo caduto a Mosul e di un trentunenne di origine marocchina (Oussama Khachia, sposato con una ticinese e trasferitosi a Lugano dopo essere stato espulso dall’Italia) morto probabilmente in Siria. Gli inquirenti della vicina Penisola, che tenevano sotto controllo alcune moschee lombarde, capirono che a cavallo del confine erano attive diverse persone in odore di jihadismo. Tra questi il fratello di Khachia (Aberrhmane) e Abderrhaim Moutharrik, l’ex campione di kick-boxing che più volte alla settimana veniva ad allenarsi in una palestra di Canobbio. Entrambi erano in contatto con delle persone in Siria ed avevano espresso la volontà di andare in Medio Oriente a combattere, ma era stato consigliato loro di restare in Europa e «combattere la jihad in casa». A quel punto la polizia italiana aveva deciso di procedere con l’arresto.
I fondi dal Golfo
Ha poi fatto molto scalpore, nel 2019, la pubblicazione del libro Qatar Papers (di Christian Chesnot e Georges Malbrunot) nel quale viene illustrata, documentazione alla mano, la volontà di un gruppo di Doha (la Qatar Charity) di voler investire in Svizzera almeno 3,6 milioni di franchi. Di questi, 1,4 milioni erano da destinare all’Institut culturel musulman de Suisse di La Chaux-de-Fonds e sarebbero serviti a contribuire alla realizzazione del Mucivi, il museo della civilizzazione dell’Islam diretto da Nadia Karmous: cittadina svizzera di origine algerina vicina, secondo gli autori del libro, ai Fratelli Musulmani. E in Ticino? Secondo gli autori di Qatar Papers, la stessa fondazione avrebbe deciso di stanziare circa 1,7 milioni per la creazione del «Centre culturel islamique de Lugano». Soldi che secondo Chesnot e Malbrunot sarebbero dovuti passare attraverso un’altra entità con sede a Lugano: la Comunità islamica nel Cantone Ticino. Soldi destinati probabilmente alla costruzione della moschea di Molino Nuovo ma che i diretti interessati, da noi contattati l’anno scorso, hanno sempre negato di aver ricevuto. I Fratelli Musulmani in ogni caso, lo scriviamo per correttezza, non sono considerati un’organizzazione illegale in Svizzera.
La naturalizzazione annullata
Intricatissima ed estremamente delicata invece la vicenda che ha riguardato l’imam di Viganello Samir Radouan Jelassi. Quasi esattamente un anno fa il Tribunale penale federale pubblicò una sentenza che rigettava una denuncia per diffamazione presentata da Jelassi contro «ignoti funzionari dell’Amministrazione federale». In quella sentenza il Tribunale scrisse nero su bianco che la Segreteria di Stato della Migrazione aveva deciso di annullare la naturalizzazione presentata a Lugano dall’imam in base a un rapporto del Servizio delle attività informative della Confederazione (il SIC) che accusava Jelassi - senza però portare prove - di essere vicino ad ambienti jihadisti. Tesi che l’imam di Lugano ha sempre contestato, arrivano perfino a parlare di «vendetta dei servizi segreti» con cui avrebbe, a suo dire, precedentemente collaborato.