Si beve meno grappa, ma ottima

Consumo in leggero calo nella Svizzera italiana, ma la qualità resta alta
Luca Bernasconi
14.11.2013 07:43

Un tempo si andava a far vendemmia con due secchi: uno per l'uva bella ed uno per quella marcia, e solitamente quest'ultima veniva poi utilizzata per la distillazione da cui ricavare la grappa. Una pratica che oggi non dovrebbe più avere senso perché «se l'uva non è buo­na, non si otterrà mai un prodotto di qualità: non si scappa. Sarebbe ancora meglio separare gli acini dal raspo in quanto quest'ultimo, trattandosi in so­stanza di legno, dà un gusto amarognolo al distillato».

L'affermazione è di un esperto del settore, Sergio Peverelli , re­sponsabile per la Svizzera italiana della Regia federale degli alcol. Lo abbiamo contattato perché siamo in pieno perio­do di distillazione. Tanto che Peverelli consiglia di procedere all'operazione il più presto possibile. È un passaggio im­portante nel processo di distillazione per raggiungere l'obiettivo di una grappa di qualità. Ed i produttori sembrano aver capito in che direzione andare.

Questione di nome

Peverelli non esita infatti a dire che nella Svizzera italiana i distillati sono buoni, avendo raggiunto un grado di qualità in­vidiabile (circa il 90 per cento è derivato da vinaccia di uva, il restante 10 per cen­to da altri tipi di frutta). Fino a questo momento abbiamo utilizzato per lo più il termine distillato, piuttosto che grappa. Sì perché la questione della denomina­zione è tutt'altro che secondaria. Comin­ciamo col dire che il termine grappa può essere utilizzato solo in Italia e nella Svizzera italiana. A dire il vero i nostri vi­cini membri dell'Unione europea aveva­no chiesto a Bruxelles l'esclusiva per l'u­tilizzo di questa parola. In seguito ad un reclamo da parte svizzera, il privilegio spetta ora anche a noi e ciò in base agli Accordi bilaterali, all'origine culturale comune ed al medesimo sistema di di­stillazione. Ma non è tutto. Anche nella Svizzera italiana sono d'ob­bligo dei distinguo, con il termine grappa usato talvolta impropriamente. Peverelli ci precisa che il termine grappa può esse­re impiegato solo per un prodotto ottenu­to «dalla distillazione di vinacce e resti di vinificazione». Gli altri devono essere definiti distillati di uva oppure acquavite.

Attenzione alla gradazione

Una cura particolare - secondo il nostro interlocutore - dovrebbe essere destinata alla gradazione che non dovrebbe supe­rare il tasso alcolico del 44-45 per cento. «Oltre questi gradi, il prodotto rischia di peggiorare dal punto di vista enologico. Lo si sente al palato quando la grappa è troppo forte» spiega Peverelli. Quest'ulti­mo ci racconta di un aspetto curioso della faccenda: nelle valli vengono maggior­mente graditi i distillati di gradazione «potente». Difficile capirne le ragioni. Pe­verelli parla di «abitudine». Che secondo noi potrebbe legarsi forse alle condizioni di vita più difficili in montagna, ma que­sta è solo un'ipotesi. A livello di consumi, possiamo dire che nella Svizzera italiana siamo di fronte ad un leggero calo. Anche se a livello nazio­nale si rileva una certa stabilità nel gu­stare superalcolici. Ma attenzione: i gio­vani - per questioni di borsellino - prefe­riscono bere prodotti forse più alla moda come vodka o gin, ma certamente più a buon mercato della grappa o altri distil­lati di frutta. Va infatti ricordato che il prezzo della grappa è dovuto in parte ai costi di produ­zione presso i distillatori ed in buona parte pure alle tasse esatte dalla Regia fe­derale degli alcol: «Applichiamo una si­mile tassa per cercare di frenarne il con­sumo, senza voler essere integralisti» ag­giunge il rappresentante della Regia.

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