«Studiamo e siamo integrati. Andarcene? Sarebbe una gran delusione»

«Non so cosa pensare, ormai prendo la vita così come viene. Il futuro? Vediamo. Posso solo dire che abbiamo fatto tutto come meglio potevamo. Ci siamo integrati, andiamo a scuola. Per il momento, siamo tutti solo molto delusi». Si esprime con queste parole al Corriere del Ticino Yekta Pokerce, 21.enne, in collegamento dall’appartamento di Riazzino dove vive con i genitori e la sorella Zelal - di un anno più giovane - e con il più piccolo Azad, di 11 anni e che presenta un disturbo dello spettro autistico per il quale frequenta la vicina Scuola speciale. Il giovane, impiegato come apprendista elettricista, ha sotto gli occhi la comunicazione di licenziamento inviatagli dalla ditta su ordine del Cantone. La famiglia, di origini curde e che si è rifugiata in Ticino da quasi cinque anni, torna al centro delle cronache. Da una parte, la lettera a loro favore firmata da numerosi granconsiglieri (vedi anche l’edizione di lunedì) con l’appello al Consiglio di Stato affinché possano avere la possibilità di completare i loro percorsi. Dall’altra, l’intimazione a interrompere formazione e attività professionale, dopo la decisione negativa sulla richiesta d’asilo da parte della Segreteria di Stato della migrazione (SEM) e del Tribunale amministrativo federale.
«Capisco il loro stato d’animo»
«Come ho già dichiarato, sono molto preoccupata per entrambi e capisco il loro stato d’animo. Sostengo da sempre che sarebbe non solo auspicabile, ma anche fondamentale che le ragazze e i ragazzi in situazioni simili possano portare a termine le formazioni avviate», indica la direttrice del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport Marina Carobbio Guscetti. «Interrompere percorsi formativi vuol dire intervenire anche sui legami sociali che favoriscono: significa sacrificare il percorso effettuato, significa soprattutto rendere il presente ancora più arduo di quanto già non sia. Il Consiglio di Stato deve ora discutere sulla missiva sottoscritta da oltre una ventina di parlamentari di numerosi schieramenti partitici che chiede che sia concessa la facoltà di continuare la formazione scolastica e professionale e di concluderla». Tornando a Riazzino, «dobbiamo restare a casa», racconta ancora Zelal, che frequenta la Scuola superiore specializzata d’arte applicata del Centro scolastico per le industrie artistiche. Restarci fino a quando sarà terminata la fase di ricorso. Il loro destino, ha deciso la SEM, è quello del rimpatrio in Turchia. Paese nel quale il padre, come racconta l’avvocata che segue il caso, Immacolata Iglio Rezzonico, «ha un procedimento penale in corso per aver pubblicato sui media sociali qualcosa contro Erdogan».
«Dobbiamo farci sentire»
La vicenda è un tira-e-molla che va avanti da tempo: «Quando si è saputo che i ragazzi rischiavano di dover interrompere gli studi, si sono mobilitati i compagni, i docenti, le scuole», ricorda ancora la nostra interlocutrice. Infine, lo scorso aprile, a Palazzo delle Orsoline un numeroso gruppo di amici e sostenitori consegna una petizione che prende le loro parti. Le firme raccolte sono più di 1.700. «Questo ha probabilmente contribuito a far sì che i ragazzi potessero continuare la scuola fino ad oggi. Ma poi è arrivata la decisione, proprio nel corso dell’anno scolastico, e ora rischiano di perdere tutto. Anche se ottenessero il permesso B, dovrebbero ricominciare da capo. Uno dei ragazzi è all’ultimo anno, gli mancano sei mesi, e se non può proseguire dovrà rifare tutto». Per la 58.enne, non ci sono dubbi. Serve coraggio da parte della società civile: «Se vogliamo cambiare le leggi, è necessario farci sentire. Non bastano gli avvocati con i ricorsi, serve una mobilitazione collettiva per dire “basta” a questa legge disumana».
Richiesta respinta
Per quanto riguarda la procedura, il ricorso contro la decisione negativa dell’Ufficio emigrazione sul caso di rigore è stato depositato. La richiesta di sospensione è stata respinta, ma ora si va avanti con lo scambio degli allegati con l’Ufficio immigrazione. «La decisione del governo potrebbe arrivare anche tra un anno. Speriamo che, con il sostegno degli istituti di formazione e anche con quest’ultima missiva firmata da buona parte del Parlamento, si possa ottenere una risposta più rapida e positiva». D’altronde - riprende l’esperta -, il Ticino è uno dei cantoni più severi in Svizzera per quanto riguarda i casi di rigore. È quello che concede meno preavvisi favorevoli».
«Legge discriminatoria»
La legge sugli stranieri, evidenzia in conclusione Rezzonico, è molto «discriminatoria: da una parte permette alle persone di integrarsi durante la procedura d’asilo, ma poi, quando sono finalmente integrate, arriva la decisione negativa e non si può più fare nulla. È una situazione disumana. Si lascia vivere - o meglio, sopravvivere - persone in condizioni degradanti, che portano inevitabilmente a problemi psicologici. Ci lamentiamo dei giovani che non fanno nulla, ma quando ne abbiamo che si impegnano, li blocchiamo e li costringiamo a stare a casa con la paura costante del rimpatrio».

